sabato, settembre 7

Monaco-Siena, salutando Venezia. Mille chilometri in bici, quarta parte. I'm back, il ritorno

La strada fra Premilcuore ed il Passo della Calla è sicuramente fra le più belle del Parco delle foreste casentinesi, dunque d’Italia. Si parte con i colli che hanno una leggerissima pendenza in salita, con il traffico pressoché vicino allo zero. Lo sa bene il gestore del bar centrale di Premilcuore, che non ha sempre una grande fila, ma in ogni caso è tappa fissa dei viaggiatori, da quelli con il camper, moto, oppure con la bicicletta. E’ uno degli ultimi baluardi prima che la salita diventi seria ed impegnativa. Lo fa non appena si gira per la via di Fiumicello, che conduce al Passo della Braccina, quasi sei chilometri di salita fino Corniolo, con il passo che tocca i 957 metri. Mentalmente non lo avevo messo in preventivo, pensando che i quasi dodici chilometri successivi verso la Calla fossero il vero ostacolo. Mi sbagliavo, o meglio mi sbagliavo in parte, perché la Braccina merita tutto il rispetto possibile. 

Per fortuna ho fatto diversi chilometri della salita con un simpatico milanese, in fuga dalla Padania e della moglie, nel suo spazio di libertà in bici. Ci siamo divertiti a pedalare insieme, prima che lui prendesse la strada per Santa Sofia andando a completare l’anello che lo riportava all’albergo di partenza. A Corniolo sono dunque rimasto solo in direzione Campigna, proprio come volevo, in mezzo ad abeti ed altri alberi altissimi e la strada in decisa salita. Mentalmente la Calla sarebbe stato il primo vero arrivo del cicloviggio: opo dnon avrei trovato niente di bello da vedere che già non conoscevo e l’unico ostacolo tecnico sarebbe stata la salita che porta da Monte San Savino a Rapolano, oltre al traffico di Arezzo. La salita è dura ed arrivare alla sommità del passo non è proprio una banalità.
Non mi piace la definizione “conquistare una montagna”, oppure “conquistare un passo”. La loro maestosità, storia e forza sono immense. E’ molto più facile che ti respingano o rendano amaro l’avvicinamento, piuttosto che si “concedano”, ti facciano intravedere una parte della loro bellezza e della loro essenza. Sicuramente è valsa la pena fare quasi 800 chilometri per arrivare sul passo della Calla con la “testa” giusta, tale da poterne apprezzare la bellezza e la sua immensa “nobiltà”. Poco contava che al passo ci fossero dei lavori in corso con un rumore infernale (l’ultima cosa che pensavo di trovare).
Ho compensato con un ottimo piatto di tagliatelle al ragù di cinghiale, a ricordarmi dove mi trovavo, insieme ad un’ottima birra, a sottolineare da dove arrivavo. La discesa verso Arezzo è bella solo nei primi chilometri, poi traffico e strade brutte fino al capoluogo.
Al risveglio mi restava solo il trasferimento a Siena, con il secondo vero arrivo del cicloviaggio: il primo panorama di Siena da lontano, che avrei trovato verso Castelnuovo. La mattina alle otto fare slalom fra camion e macchine non è proprio banale e per arrivare alla provinciale che porta a Monte San Savino c’è stato bisogno di stare molto concentrato. Imboccata la strada verso Siena sono stati i tafani e rovinarmi la bellezza dell’ultima salita. Praticamente sono stato quasi un’ora a scacciare questi antipatici insetti e applicare lo stick all’ammoniaca sui tanti morsi che mi hanno dato, si perché queste bestiacce non pizzicano, mordono nel vero senso della parola! Eh vabbé, si supera anche questo, con la discesa che è arrivata come una liberazione, non tanto dalla fatica, quanto dai tafani. 
Pochi altri chilometri e Siena è apparsa in mezzo alle nuvole. Ero tornato, I’m back, quasi mille chilometri straordinari e bellissimi, otto giorni passati a pedalare con infinita bellezza davanti agli occhi, un’poca di stanchezza nelle gambe e due chili di peso guadagnati, visto che mi ero alimentato decisamente bene!
Fabio Volo dice che non si può stare bene con gli altri se non si sta bene con noi stessi. Il viaggio in solitario per me è diventata quasi una droga da assumere almeno una volta all’anno, impegni permettendo.
Al prossimo dunque….

Per chi vuole vedere un poche di foto con buona musica...


La canzone di oggi è Quale allegria del grandissimo Lucio Dalla. Uscita nel 1977 gli hanno dato molti significati. Per me, pensandoci adesso, è la malinconia del viaggio terminato. Sulla strada, ma non nei ricordi. Alcuni sono stati appuntati in questo blog, altri rimarranno sono dentro di me. Dopo tutto il viaggio inizia quando lo pensi e termina quando lo dimentichi.

Quale allegria
Quale allegria
Se ti ho cercato per una vita senza trovarti
Senza nemmeno avere la soddisfazione di averti
Per vederti andare via

Quale allegria
Se non riesco neanche più a immaginarti
Senza sapere se strisciare se volare
Insomma, non so più dove cercarti

Quale allegria
Senza far finta di dormire
Con la tua guancia sulla mia
Saper invece che domani ciao come stai
Una pacca sulla spalla e via
Quale allegria

Quale allegria
Cambiar faccia cento volte per far finta di essere un bambino
Con un sorriso ospitale ridere cantare far casino
Insomma far finta che sia sempre un carnevale
Sempre un carnevale

Senza allegria
Uscire presto la mattina
La testa piena di pensieri
Scansare macchine, giornali
Tornare in fretta a casa
Tanto oggi è come ieri

Senza allegria
Anche sui treni e gli aeroplani
O sopra un palco illuminato
Fare un inchino a quelli che ti son davanti
E son in tanti e ti battono le mani

Senza allegria
A letto insieme senza pace
Senza più niente da inventare
Esser costretti a farsi anche del male
Per potersi con dolcezza perdonare
E continuare

Con allegria
Far finta che in fondo in tutto il mondo
C'è gente con gli stessi tuoi problemi
Per poi fondare un circolo serale
Per pazzi sprasolati e un poco scemi

Facendo finta che la gara sia
Arrivare in salute al gran finale
Mentre è già pronto Andrea
Con un bastone e cento denti
Che ti chiede di pagare
Per i suoi pasti mal mangiati
I sonni derubati i furti obbligati
Per essere stato ucciso
Quindici volte in fondo a un viale
Per quindici anni la sera di Natale

venerdì, settembre 6

Monaco-Siena, salutando Venezia. Mille chilometri in bici, terza parte... to be continued


Vittorio Veneto è stata una tappa significativa. Le grandi montagne erano oramai superate e solo l’Appennino sarebbe stato l’ultimo vero ostacolo verso Siena, oltre alle provinciali che attraversano il Po. Il ricordo sarà sempre forte, anche per il simpatico proprietario dell’hotel Sanson, nome quantomai significativo per il ciclismo, ad imperitura memoria di uno degli sponsor più importanti di Francesco Moser. Inutile dire che era un vero appassionato di ciclismo, con una bella memoria, nonostante gli anni: “Ti darò la camera più bella allo stesso prezzo, non la singola che hai chiesto, almeno riposi meglio. Poi vedrai che panorama dalla terrazza!”, mi ha detto dopo almeno mezz’ora di dialogo appena sceso di bici, prima che mi fossi cambiato ed ovviamente prima del check in. Aveva ragione il signor Sanson, dalla camera si vedeva l’orizzonte lontanissimo, con i colli del prosecco che facevano da frontiera con il mare ed il Piave, ancora nascosto, pronto a manifestarsi con tutta la sua storia, dignità e maestosità. La mattina ho preferito partire molto presto, stavo bene fisicamente e mi ero posto un obiettivo molto ambizioso, arrivare a Venezia, superarla ed avvicinarmi più possibile a Forlì attraverso la strada provinciale, approfittando del giorno festivo e dell’assenza dei grandi camion. Per evitare di stancarmi solo al pensiero, non avevo fatto i conti dei chilometri da coprire, che alla fine sono stati circa 170. L’alba non mi ha colto di sorpresa, visto che ancora a buio avevo preparato i bagagli e chiuso le borse, facendo colazione in camera con biscotti e succo di frutta, riservandomi il caffè alla prima pausa, dopo almeno due o tre ore di pedali. I colli del prosecco sono bellissimi e tutto è tenuto in modo perfetto. Complice l’alba ed anche un poco di nebbia i colori erano straordinari e si annunciava la prima vera e propria giornata di sole pieno, con tutto il caldo che era mancato nei quattro giorni precedenti e soprattutto senza il rischio pioggia. Il Piave, come dicevo, è maestoso e soprattutto consente di tuffarsi con la mente nella storia italiana, quella vera, quella in cui la parola Patria non era un concetto astratto, ma un modo di essere e di intendere la vita. Si partiva per fermare il nemico e tenerlo lontano dalle famiglie. La morte era messa in preventivo, un prezzo pagabile. Leggere nei cartelli “Piave fiume sacro alla Patria” da emozione vera, come del resto il monumento al Bersagliere di San Donà di Piave, posto alla fine del grande ponte di ferro, vicino all’ingresso della ciclovia che prosegue ancora per tanti chilometri verso Venezia e la sua laguna. Dopo qualche colle la strada diventa completamente piana e le ciclabili sulla laguna sono pressoché perfette, con uno sterro dolce ed ordinato. Non a caso si incrociano tantissime persone, fra queste una quantità sterminata di famiglie su due ruote, che sfruttano al meglio l’assenza di pericoli e soprattutto l’aria buona ed i panorami speciali. Anche in questo caso moltissimi hanno la bici elettrica, ennesima testimonianza di un mondo in grandissimo cambiamento, una rivoluzione silenziosa che sta cambiando gli spostamenti delle persone.
Il tempo e la strada scorrono in fretta e con la mente libera si arriva velocemente Jesolo, Lido di Jesolo, quindi a Punta Sabbioni, dove ho preso il traghetto che mi ha consentito di salutare Venezia da lontano e poco dopo sbarcare a Chioggia, con qualche cambio ed una quindicina di chilometri pedalati sulle due isole che separano la città dei Dogi dalla patria del pesce crudo.
Le provinciali sul delta del Po hanno il pregio di avere una corsia d’emergenza molto grande e senza troppa paura si possono fare tanti chilometri a buone medie, tir e automobilisti distratti permettendo. Era domenica e mi ero posto l’obiettivo di arrivare almeno in provincia di Ferrara. Questo mi avrebbe consentito di dormire a Forlì o Predappio il giorno successivo e prepararmi all’ultima grande tappa con il Passo della Calla, prima del breve trasferimento da Arezzo a Siena. Vuoi per la concentrazione, vuoi per la pianura sono riuscito a coprire tantissimi chilometri, sfruttando il poco traffico domenicale. Quando ho guardato il numero dei chilometri fatti, oltre 160, puntuale è arrivata la crisi di fatica. Con un’poca di fortuna ho trovato un albergo bellissimo a prezzo stracciato (sotto 40 euro), l’Hotel Rurale Cannevié, ricavato da un ex capanno dei pescatori, un luogo veramente incantevole con un ristorante super. Telefonata di rito e, conti alla mano, mancavano solo sette o otto chilometri di pianura alla meta. La fatica della testa è peggiore di quella delle gambe e quando sono loro a comandare (invece della mente), la fine è segnata. Incredibile a dirsi, a soli due chilometri dall’arrivo mi sono praticamente bloccato, in preda a crisi di fame, caldo e sete, tutte in contemporanea. In questi casi c’è una sola cosa da fare, anzi due: la prima è ragionare, la seconda è mangiare, bere e prendere degli zuccheri ad immediato assorbimento. Sono bastati dieci minuti di pausa ed un mini pasto per ritrovare testa e le energie giuste, che mi avrebbero consentito di fare ancora diversi chilometri. Ma erano già le cinque, albergo prenotato, ed era giusto mettere uno stop alla giornata.
Il risveglio è stato speciale, in un ambiente bellissimo. Solo una mosca maledetta mi ha stressato più volte durante la notte. La pedalata verso Forlì è stata invece l’esatto opposto. I quaranta chilometri che mi hanno portato a Ravenna sono stati molto faticosi, non tanto per la lunghezza della strada, quando per il traffico. Ho rimpianto le bellissime ciclabili dei giorni precedenti, confrontandole con la squallida corsia di emergenza della SS309. Uscire da Ravenna è stata una vera e propria impresa. Tanti lavori in corso, strade interrotte ed ogni tragitto verso Forlì che portava sulla statale interdetta alle bici. Dopo quasi un’ora di giri a vuoto, informazioni chieste e forse capite male, è stato il momento di fermarsi, comprare della frutta, prendere un caffè e ragionare, trovando la strada più comoda e soprattutto senza auto. Così è stato e magicamente sono giunto a Forlì su stradine ricavate nel bordo dei canali che portano l’acqua per le irrigazioni dei campi. Due ore almeno bellissime, nelle ore più calde del giorno, salvo qualche zanzara di troppo, ma comunque sopportabile. Stavo bene e con una ventina di chilometri in più avrei scorciato il tappone del giorno successivo arrivando a Predappio. Una rapida ricerca mi ha consentito di trovare una bella camera in un appartamento condiviso. Avevo anche voglia di parlare con qualcuno dopo una giornata passata una parte con i camion che passavano a poco più di un metro, l’altra nella pace delle strade secondarie o semi abbandonate. Tutto è giusto e perfetto dunque.
Devo dormire, domani mi aspetta il divino Passo della Calla.
To be continued… 

Per chi vuole vedere un poche di foto con buona musica...
https://youtu.be/Xh6F7hxJRUY

La Canzone del Piave, conosciuta anche come La leggenda del Piave, è una delle più celebri canzoni patriottiche italiane. Il brano fu composto nel 1918 dal maestro Ermete Giovanni Gaeta (noto con lo pseudonimo di E.A. Mario). Della canzone che segue sotto ancora, Inno al Soldato ignoto d'Italia, non trovato invece data ed autore, ma era comunque bella e da pubblicare.
La canzone del Piave
Il Piave mormorava,
calmo e placido, al passaggio
dei primi fanti, il ventiquattro maggio;
l'esercito marciava
per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera...
Muti passaron quella notte i fanti:
tacere bisognava, e andare avanti!
S'udiva intanto dalle amate sponde,
sommesso e lieve il tripudiar dell'onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero,
il Piave mormorò:
Non passa lo straniero!
Ma in una notte trista
si parlò di un fosco evento,
e il Piave udiva l'ira e lo sgomento...
Ahi, quanta gente ha vista
venir giù, lasciare il tetto,
poi che il nemico irruppe a Caporetto!
Profughi ovunque! Dai lontani monti
Venivan a gremir tutti i suoi ponti!
S'udiva allor, dalle violate sponde,
sommesso e triste il mormorio de l'onde:
come un singhiozzo, in quell'autunno nero,
il Piave mormorò:
Ritorna lo straniero!
E ritornò il nemico;
per l'orgoglio e per la fame
volea sfogare tutte le sue brame...
Vedeva il piano aprico,
di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora...
No!, disse il Piave. No!, dissero i fanti,
Mai più il nemico faccia un passo avanti!
Si vide il Piave rigonfiar le sponde,
e come i fanti combatteron l'onde...
Rosso di sangue del nemico altero,
il Piave comandò:
Indietro va', straniero!
Indietreggiò il nemico
fino a Trieste, fino a Trento...
E la vittoria sciolse le ali al vento!
Fu sacro il patto antico:
tra le schiere, furon visti
Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti...
Infranse, alfin, l'italico valore
le forche e l'armi dell'Impiccatore!
Sicure l'Alpi... Libere le sponde...
E tacque il Piave: si placaron l'onde...
Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò
né oppressi, né stranieri! 


Inno al Soldato Ignoto d'Italia
La gloria era un abisso,
che si stendeva dallo Stelvio al mare,
ma l'occhio ardente e fisso
non si distolse e si dovea passare.
E la chiodata scarpa che passava
tritò l'impervio Carso a roccia a roccia;
pigiò nel Piave sacro che arrossava
sangue nemico tratto a goccia a goccia!
Soldato ignoto, e Tu: perduto fra i meandri del destino!
mucchio senza piastrino, eroe senza medaglia,
il nome Tuo non esisteva più.
Finita la battaglia, fu chiesto inutilmente:
nessun per te poteva dir : presente!
Il Piave era una diga:
file d'elmetti e siepi di fucili,
zappe e chitarre, e tutti quanti in riga.
No, Generale, i Fanti non son vili:
la Morte li afferrò tra le sue branche,
li strinse a mille nelle ossute braccia,
li rese irriconoscibili fantasmi
ne disperse fin l'ultima traccia.
Soldato ignoto, e tu disperso tra i meandri del Destino!
Muto senza piastrino, eroe senza medaglia,
il nome tuo non esisteva più.
Finita la battaglia fu chiesto inutilmente
(ma) tra i morti intatti (ri)cercherò l'assente.
Il Carso era una prora,
prora d'Italia volta all'avvenire,
immersa nell'aurora,
con il motto in cima vincere o morire!
E intorno a quella prora si moriva,
mentre alla nave arrise la vittoria
e il nome di ogni Fante che periva
passava all'albo bronzeo della storia!
Soldato ignoto, e Tu: ritorna dai meandri del destino!
brilla il Tuo bel piastrino, fregiato della palma:
Tu sei l'eroe che non morrà mai più!
E solo la Tua salma, che volta ad oriente,
da Roma può rispondere: presente!

mercoledì, settembre 4

Monaco-Siena, salutando Venezia. Mille chilometri in bici, seconda parte... to be continued


Innsbruck è il trampolino di lancio verso l’Italia, nel vero senso della parola, tanto che sullo skyline della capitale tirolese è preponderante proprio il trampolino per il salto con gli sci, segnale neppure più di tanto metaforico dello spirito e dell’indole cittadina. Salire al Brennero è tutt’altro che semplice, in particolare per i primi chilometri, quando la strada si inerpica in modo vorticoso fino ad arrivare alle stradine collinari che sovrastano la grande autostrada e la vecchia strada. Si deve aspettare qualche decina di chilometri affinché la salita diventi dolce e costante fino al confine italiano. Sterzing (Vipiteno) è poco lontano dal confine. Non si può sbagliare, basta seguire la ciclabile che dolcemente cala verso valle, sfiorando il Colle Isarco e passando vicino all’entrata italiana del nuovo tunnel che attraverserà la montagna (il ‘toninelliano’ tunnel del Brennero), rendendo il collegamento con Innsbruck e con l’Austria una vera e propria formalità. Mi ha colpito rivedere la stazione al confine italiano, dove nel viaggio di andata ero stato costretto ad uno stop forzato. Trasportare la bici attraverso tre paesi è tutt’altro che una formalità, in particolare in Italia. Breve storia realmente accaduta. Per arrivare a Monaco contavo di prendere l’autobus fino a Verona, quindi il treno della tedesca Deutsche Bahn fino a destinazione. A Verona ho però scoperto che questa compagnia trasportava le due ruote solo con prenotazione anticipata di almeno una settimana. Inevitabile dover improvvisare, valutando tutte le opzioni, dormire a Verona compresa. Grazie ai consigli di un ferroviere saggio, ho preso un regionale fino al Brennero, confidando che lì avrei trovato un regionale per Monaco o almeno per Innsbruck. Così ho fatto scoprendo però che nella capitale del Tirolo non c’erano regionali che in giornata (erano già le 15), mi avrebbero portato a Monaco. Ho giocato allora la carta FlixBus, confidando che trasportassero anche le bici. Non siamo in Italia ed ogni autobus ha il portabici nel retro. E’ stata l’ideona della giornata, tanto che già attorno alle 19 ero arrivato a Monaco, bici compresa. Viaggiare da solo è divertente anche perché devi improvvisare spessissimo e puoi farlo nel modo che più ti piace, con i tempi che più si confanno ai tuoi programmi.
Se il destino mi aveva fatto arrivare a Monaco (con solo tre ore di ritardo rispetto alla tabella fatta a Siena), voleva dire che a Monaco dovevo restare un giorno in più per visitarla, anche perché il meteo delle 24 ore successive metteva pioggia abbondante, come in effetti è accaduto. Ma questa è un’altra storia.
Eravamo arrivati al Brennero, al Colle Isarco ed alla splendida ciclabile che conduce fino a Sterzing (Vipiteno), dove cercando con attenzione, si possono trovare strutture a costo contenuto con grande qualità. Ripartire la mattina verso Dobbiaco è stato un vero e proprio spettacolo, con il sole che finalmente iniziava ad essere una realtà concreta e non solo una speranza. I colli del Tirolo sono straordinari, panorami e paesini compresi. E’ evidente la scelta politica di favorire le due ruote, che possono usufruire di ciclabili bellissime, che consentono con poca fatica di coprire molti chilometri. E’ qui che ho iniziato a trovare tantissime persone che facevano cicloturismo con bici elettriche. Lo sviluppo della tecnologia sta aprendo prospettive inimmaginabili, una vera e propria nuova era geologica nei movimenti delle persone. Non solo per i giovani, ma anche per tanti anziani con scarso allenamento, è possibile caricare bene le borse e fare cinquanta, settanta chilometri al giorno con fatica molto limitata. E’ in corso una vera e propria rivoluzione economica, con negozi di noleggio e-bike frequentissimi da incrociare nei tanti paesini della zona, senza parlare di Dobbiaco, dove i noleggi sci nei mesi estivi si trasformano in noleggi di bici elettriche, sia da viaggio che mountain bike. La bellezza è straordinaria, con le ciclabili che affiancano la strada principale oppure la ferrovia, senza tralasciare i tratti in cui si è in piena campagna, immersi totalmente nel verde e nel silenzio. Poco importa se si attraversa Brunico o l’ultimo borgo tirolese, qua le bici hanno il massimo rispetto, fino alla segnaletica stradale che offre corsie e canali privilegiati. Arrivare a Dobbiaco è una gioia pure, non ci si annoia mai, tanto sono particolari i panorami. L’ultima cittadina in Italia del Tirolo è accogliente per i turisti, sotto tutti i punti di vista. Ripartire la mattina un poco mi è dispiaciuto, ma la bellissima ciclabile che porta a Cortina mi aspettava, così come i nuvoloni che lungo il percorso mi hanno copiosamente innaffiato i vestiti, ma non lo spirito. E’ stato comunque bellissimo percorrere i quasi trenta chilometri fino a Cortina, ma altrettanto belli sono stati quelli che mi hanno accompagnato sempre attraverso straordinarie ciclabili e strade poco trafficate fino a Vittorio Veneto, passando da Longarone, nonostante la pioggia che è caduta generosissima, ma senza bagnare minimamente lo spirito. 

To be continued…. 

Per chi vuole vedere un poche di foto con buona musica...
https://youtu.be/Xh6F7hxJRUY

La canzone di oggi c’entra poco con le Alpi o la bicicletta, ma mi è venuta in mente giusto dopo Cortina, una volta che, abbandonato il Tirolo, ero rientrato a tutti gli effetti in Italia. Take me home, country road è stata scritta da Bill Danoff, Taffy Nivert e John Denver, che l’ha cantata nell’albun “Poems, Prayers and Promises” (1971), rendendola immortale

Take me home, country roads

Almost heaven, West Virginia
Blue Ridge Mountains, Shenandoah River
Life is old there, older than the trees
Younger than the mountains growin’ like a breeze
Country Roads, take me home to the place I belong
West Virginia, mountain momma: take me home, country roads!

All my memories gathered ‘round her, miner’s lady, stranger to blue water
Dark and dusty, painted on the sky, misty taste of moonshine, teardrops in my eye
Country Roads, take me home to the place, I belong

West Virginia, mountain momma: take me home, country roads!

I hear her voice in the mornin’ hour she calls me
The radio reminds me of my home far away
And drivin’ down the road I get a feelin’ that I should have been home yesterday, yesterday

Country Roads, take me home to the place, I belong
West Virginia, mountain momma: take me home, country roads!

Country Roads, take me home to the place, I belong
West Virginia, mountain momma: take me home, country roads!


Traduzione

Quasi un paradiso, il West Virginia
le montagne di Blue Ridge
il fiume Shenandoah
la vita è antica qui
più antica degli alberi
più giovane delle montagne
cresce come il vento

Strade di campagna, portatemi a casa
là nel posto a cui appartengo
West Virginia, mamma montagna
portatemi a casa, strade di campagna

Tutti i miei ricordi ruotano attorno a lei
la Signora dei minatori, senza il blu del mare
scura e polverosa, disegnata nel cielo
sapore impastato di moonshine
ho le lacrime agli occhi

Strade di campagna, portatemi a casa
là nel posto a cui appartengo
West Virginia, mamma montagna
portatemi a casa, strade di campagna

Sento la sua voce
mi chiama la mattina presto
sento la radio e ricordo la mia casa lontana
e lungo la strada mi rendo conto
che già ieri sarei dovuto essere a casa, ieri

Strade di campagna, portatemi a casa
là nel posto a cui appartengo
West Virginia, mamma montagna
portatemi a casa, strade di campagna

Strade di campagna, portatemi a casa
là nel posto a cui appartengo
West Virginia, mamma montagna
portatemi a casa, strade di campagna.

(Traduzione e note a cura di Marie Jolie)

martedì, settembre 3

Monaco-Siena, salutando Venezia. Mille chilometri in bici, prima parte... to be continued

Mille chilometri fra Monaco e Siena, passando per la ciclabile che conduce a Venezia, poi il delta del Po, gli Appennini, il Passo della Calla, Arezzo e Siena. Tutto fra il 21 ed il 28 agosto. In queste trentasei parole è compresa l’estrema sintesi di un bel cicloviaggio fatto con me stesso, ma c’è molto di più.
Nella Toscana felix cullata dal sole e dalla calura estiva non ci stiamo rendendo conto della grande rivoluzione su due ruote in corso nel resto d’Europa ed in gran parte del mondo occidentale. Purtroppo le bici sono diventate un totem politico delle forze di governo e opposizione, sia a livello locale che nazionale. Si è dimenticato che si tratta di un mezzo di trasporto, uno strumento che consente alle persone di muoversi da un punto ad un altro di una città o del mondo. Fanno bene gli automobilisti a lamentarsi dei ciclisti maleducati, così come gli amanti delle due ruote fanno bene a lamentarsi dei piloti maleducati su quattro. Hanno ragione entrambe le categorie perché il problema è tutto nella mancanza di infrastrutture, piste ciclabili, ovvero scelte politiche chiare e nette da parte delle amministrazioni. Meglio scatenare la guerra fra poveri dunque, ciclisti contro automobilisti, con le squadre appostate nelle loro trincee ben armatee bellicose, dimenticando che i problemi derivano da almeno quaranta anni di scelte miopi e soprattutto dall’assenza di una visione chiara sulla mobilità delle persone che ha avuto la politica in Italia, in particolare dagli appennini in giù, salvo qualche territorio virtuoso.
Purtroppo siamo in un paese in cui prima si costruiscono i palazzi, poi le strade e le infrastrutture che li collegano con il centro della città. Basta guardare lo sviluppo urbanistico di Roma o Napoli, giusto per fare due esempi lampanti dei mostri urbanistici che l’uomo è riuscito a creare negli ultimi decenni. Al contrario nel resto d’Europa sono state fatte scelte esattamente opposte: via le auto dai centri storici, trasporto pubblico efficiente, piste ciclabili. Esempi? Londra, Parigi e così via… ma anche tutte le città ricostruite nei paesi dell’est (Germania compresa), post crollo del muro. Ma meglio finire qua…
Fra Monaco e Venezia ci sono quasi 600 chilometri da percorrere in bici e meno di 3-40 km (voglio essere pessimista) si pedalano su strade con traffico automobilistico moderatamente intenso. Il resto è tutto su piste ciclabili, sterrati o comunque strade ad altissima ciclabilità, che significa un’auto ogni uno o due minuti, quando va male.
Uscire da Monaco è un vero e proprio spettacolo. All’uscita dal Deutsches Museum (punto di partenza dalla München-Venezia) si entra nella pista ciclabile che costeggia il fiume Isar, letteralmente piena di persone in bici e a piedi che si recano a lavoro o che semplicemente fanno una girata. Lo sterro si alterna all’asfalto e la costante presto diventa la foresta, così come i ponti che attraversano il fiume. Nulla cambia per qualche decina di chilometri, quando si abbandona il fiume e la strada inizia dolcemente a salire, sempre su piste ciclabili, verso la zona dei grandi laghi situati nel cuore Tirolo. Tegernsee e Achensee sono due luoghi meravigliosi e nonostante le fitte nuvole grigie ho avuto modo di apprezzare tutto il loro spettacolo. In particolare il lago Achensee, chiamato anche “Fiordo delle Alpi”, toglie il fiato tanta è la sua bellezza. Uno scrigno di luci e colori situato a quasi 1000 metri di altezza, pieno di strutture, vita, attività, barche e tutto quando possa aiutare a vivere meglio e soprattutto apprezzare la natura. L’ultimo paese che si trova è Maurach, dove ho deciso di pernottare dopo i due giorni passati a visitare Monaco. Hotel di alto livello con centro benessere attrezzatissimo si trovano già sugli 80 euro, altri 20 per la cena. Con un inglese scolastico si viaggia tranquillamente e non ci sono problemi di lingua, magari più facili da trovare nel Tirolo italiano, paradossalmente! “Dove arrivi oggi?”, mi ha detto l’albergatore un minuto prima di lasciare la struttura. “A Vipiteno”, ho risposto, ma subito il suo sguardo è diventato dubbioso: “Vipiteno? Non esiste! Forse vuoi arrivare a Sterzing”, ha ribattuto. Ovviamente si tratta del nome tirolese di Vipiteno e non ho potuto che confermare. Qua c’è una cultura diversa e tutto conferma che il Tirolo è un piccolo stato, con lingua, storia, tradizione e territorio ben delineato, anche se abbraccia in parte la Germania, Austria e Italia.
Una bella discesa ed una pianura di una quarantina di chilometri porta diritto ad Innsbruck, la capitale tirolese, sempre su piste ciclabili, che spesso affiancano l’autostrada, la ferrovia o comunque la via di comunicazione principale. Questo a certificare che gli austriaci hanno avuto una visione chiara e netta della mobilità delle persone, includendo le piste ciclabili in parallelo alle infrastrutture principali, creando di fatto un collegamento supplementare. Questa stessa filosofia è stata clonata in tutto in Tirolo ed ha consentito di avere delle vere e proprie autostrade per le biciclette. Qua andare in bici è normale ed lo è diventato ancora di più con l’avvento delle bici elettriche, che hanno letteralmente sommerso il mercato. Ma questa è un’altra storia.

Per chi vuole vedere un poche di foto con buona musica...
https://youtu.be/Xh6F7hxJRUY

Come sempre poi la canzone di accompagnamento ai testi. Non potevo che iniziare la prima delle tre puntate con i Nomadi ed una canzone speciale...

Cammina, Cammina (Nomadi, 1991)

Cammina, cammina,
quante strade partire, ritornare,
rimangono nel cuore e nella mente.


Cammina, cammina
quante scarpe consumate,
quante strade colorate,
cammina, cammina.
Quante dimenticate,
ritmo del lavoro,
segnate dalle ruote,
di antiche età dell'oro.
Vicoli tenebrosi
fra bidoni e fango,
viali peccaminosi
con un passo di tango.
 

Cammina, cammina
quante scarpe consumate,
quante strade colorate,
cammina, cammina.
Verso ogni direzione
attraversano città,
sorprese da un lampione
poi perse nell'oscurità.
Strade sospese
fra terra, mare e cielo
aspre e sinuose
abbracciate dal gelo.
 

Cammina, cammina
quante scarpe consumate,
quante strade colorate,
cammina, cammina.
Ahahahhh...
Bianche scorciatoie
danzano nei prati,
s'inoltrano nei monti,
ricordano passati.
Vanno a ponente
corrono fra il grano,
vanno ad oriente
per perdersi lontano.


Cammina, cammina
quante scarpe consumate,
quante strade colorate,
cammina, cammina.
Vanno verso nord
disegnano confini,
scendono poi a sud
segnando destini.
Rimangono nel cuore
quelle strade sotto il sole,
bello è ritornare,
ma andare forse è meglio.


Cammina, cammina
quante scarpe consumate,
quante strade colorate,
cammina, cammina.
Ahahahhh...
Cammina, cammina
quante scarpe consumate,
quante strade colorate,
cammina, cammina.
Ahahahhh... ah.
 

Cammina, Cammina è stata scritta da Augusto Daolio, Giuseppe Carletti, Odoardo Veroli ed è uscita nel 1991 nell’album “Gente come noi”.