Oggi su Facebook un grande innamorato del basket, Gabriele Grandi, ha
ricordato Enrico Bovone, mitico giocatore di pallacanestro della Mens Sana
Sapori di circa 30 anni fa. Era un omone di 210 centimetri che in un prato il 2
maggio del 2001 decise che la vita non era più sopportabile per lui. Oggi 30
marzo Enrico Bovone, il gigante buono e fragile, avrebbe compiuto 66 anni e davanti a
lui ci sarebbe stata ancora molta vita da vivere, molti prati da vedere.
Ricordo che prima dell’ultimo suo gesto stese una coperta sul terreno, quasi
per non disturbare, per non contaminare la terra che di lì a poco sarebbe
diventata rossa. Forse Enrico ha cercato per molto tempo la “bellezza”, ma come
tanti altri non è riuscito a definirla ed ha fermato la sua ricerca, sperando di trovarla
nei prati celesti. E’ un poco triste questo post, lo capisco, ma la morte fa
parte della vita, si intersecano a vicenda, forse in modo infinito. Nutro una
profonda pietas per coloro che decidono di interrompere la loro esistenza terrena, senza
giudicarli, rispettando con grande dolore il loro estremo gesto. Ciao Enrico,
gigante buono e fragile, spero che nell’azzurro dove sei adesso tutto sia come tu avevi
immaginato che fosse quando ci hai detto che saresti partito.
Raccolta di racconti di emozioni, di bellezza, di vita, di esperienze e di varia umanità.
venerdì, marzo 30
giovedì, marzo 29
Sogni di libertà di Lucio Dalla nel 1971
La scorsa settimana al compleanno di un amico fu cantata
questa splendida canzone di Lucio Dalla (con l’aiuto per i testi di Gianfranco Baldazzi e Sergio
Bardotti), una poesia poco nota alla gente, scritta tantissimi anni
fa (1971, album “Storie di casa mia”). Narra di un uomo chiuso in una prigione,
che sogna una vita diversa guardando una donna in lontananza, al di là del
mare, immaginando ogni particolare di una realtà che non vedrà mai. E’ forse
una metafora della vita di milioni di persone, forse quasi di tutti noi, visto
che alle volte siamo prigionieri di una realtà che non fa realizzare i sogni. Non
è un caso che il grande Lucio Dalla non ci dica quale sia stato il reato così
grave da tenere in cella quest’uomo fino alla fine dei suoi giorni. Non ci dice
neppure il suo nome. Una grande poesia di Lucio Dalla. Leggete le parole, poi
se vorrete sentire anche la musica su You Tube:
http://www.youtube.com/watch?v=LIcQUtKYbnw
Dalla sua cella lui vedeva solo il mare
ed una casa bianca in mezzo al blu
una donna si affacciava.... Maria
è il nome che le dava lui.
Alla mattina lei apriva la finestra
E lui pensava quella è casa mia
Tu sarai la mia compagna Maria
Una speranza e una follia.
E sognò la libertà
e sognò di andare via, via
e un anello vide già
sulla mano di Maria
Lunghi i silenzi come sono lunghi gli anni
parole dolci che s'immaginò
questa sera vengo fuori Maria
ti vengo a fare compagnia.
E gli anni stan passando tutti gli anni insieme
ha già i capelli bianchi e non lo sa.
Questa sera vengo fuori Maria
vedrai che bella la città.
E sognò la libertà
ed una casa bianca in mezzo al blu
una donna si affacciava.... Maria
è il nome che le dava lui.
Alla mattina lei apriva la finestra
E lui pensava quella è casa mia
Tu sarai la mia compagna Maria
Una speranza e una follia.
E sognò la libertà
e sognò di andare via, via
e un anello vide già
sulla mano di Maria
Lunghi i silenzi come sono lunghi gli anni
parole dolci che s'immaginò
questa sera vengo fuori Maria
ti vengo a fare compagnia.
E gli anni stan passando tutti gli anni insieme
ha già i capelli bianchi e non lo sa.
Questa sera vengo fuori Maria
vedrai che bella la città.
E sognò la libertà
e sognò di andare via, via
e un anello vide già
sulla mano di Maria
E gli anni son passati tutti gli anni insieme
ed i suoi occhi ormai non vedon più.
Disse ancora la mia donna sei tu
e poi fu solo in mezzo al blu.
e un anello vide già
sulla mano di Maria
E gli anni son passati tutti gli anni insieme
ed i suoi occhi ormai non vedon più.
Disse ancora la mia donna sei tu
e poi fu solo in mezzo al blu.
mercoledì, marzo 28
Lourdes, la vita che nasce nella sofferenza
Ciao Lello, è grande la distanza che ci separa, quasi quattro ore
di auto. Adesso però sento vicinissime la nostra Siena (la mia città
universitaria) e Busto, poco ridente paesotto attaccato a Milano. Ricordo bene
quella che tu definisci “bellezza” quando eravamo molto più giovani e
spensierati. Adesso ho famiglia, figli, un lavoro normale ed una vita tutto
sommato “da vivere”. Lo sai, sono cattolico praticante. Spesso nei corridoi
dell’Università a San Francesco parlavamo anche di questo. Adesso con Claudia
ci siamo sposati ed abbiamo due figli già grandicelli, Maria di otto anni e Marco di
sei. Sono belli, forse perché assomigliano a Claudia. Ho visto e letto il tuo blog. Mi
ha colpito, ma non sorpreso, visto che ci conosciamo bene. La sliding door
della mia vita, l’arrivo della “bellezza” è stato un viaggio a Lourdes con
Claudia. Non l’abbiamo fatto né in bici, né a piedi, ma in treno, con i
pellegrini ed i malati. Per certi aspetti è simile ai viaggi che intendi tu,
visto che vedere tanta sofferenza, dolore, annienta tutte quelle che sono le
nostre convenzioni sociali, il nostro essere morbosamente attaccati ad oggetti
e orpelli della vita assolutamente inutili. Scoprii una Claudia unica,
speciale, così come si rafforzò in me il sentimento religioso, verso Dio e Gesù
. Sono stati forse i quattro giorni più belli della nostra vita (mia e di
Claudia). La prima figlia l’abbiamo chiamata Maria. Lei non sa ancora perché. Ha solo otto anni. Con Claudia pensiamo che sia giusto aspettare
ancora, magari anche altri dieci anni. Quando Maria avrà i suoi valori ben delineati
glielo diremo e gli racconteremo la storia di quel viaggio fatto tanti anni fa, di cui vede ogni giorno la foto nella nostra camera. Un racconto interessante? Non so, forse poco per molti
che lo leggeranno, ma per me è stato un momento unico e speciale, la mia
“bellezza” arrivata nel novembre del 2000.
Un abbraccio, Lello, per te e per chi leggerà.
Carlo
Ceccherini
Carlo, che piacere trovare stamani la tua mail. Mi sono svegliato prestissimo e prestissimo sono venuto a lavoro. Ero cupo, ma leggere le tue righe mi ha reso la giornata bellissima! Mai avrei pensato che oggi ti avrei "ritrovato"! Sei sempre un grande, te lo dicevo che fra tutti noi eri il migliore. Non fumavi neppure! Ora ho smesso anche io, comunque. Grazie del tuo pensiero ed un abbraccio a te, a Claudia, Maria e Marco.
Lello
domenica, marzo 25
"Bellezza" è partecipazione
Conoscere e vivere le emozioni è ciò che da forma alla vita di ciascun essere umano e forse di ogni essere vivente. Rimanere ancorati a sé stessi limita il mondo e lo spazio al metro di aria che circonda ciascuno di noi. Uno spazio un poco piccolo nei confronti della vastità del mondo. Proprio per questo mi piacerebbe raccogliere anche le emozioni e le parole di chi ha vissuto momenti speciali in bici oppure camminando. Ho conosciuto persone che mi hanno incantato con i racconti dei loro viaggi. Penso a Fabio, grande professore e amico vero dei momenti speciali, ma anche a tantissime persone che ho conosciuto. Penso anche a coloro che conoscerò, così come a chi mai incrocerò nella mia vita. Penso ad una persona che adesso è a letto da settimane in preda ai dolori ed alla rabbia per una caduta terribile dalla bici, tanto banale quanto dolorosa. Sarebbe bello veramente se qualcuno avesse voglia di raccontare la sua storia. La mail è sopra scritta. La bici, la natura, il camminare, tutto è condivisione, tutto deve essere condivisione affinché entri nell'anima e lasci una traccia speciale.
sabato, marzo 24
La bellezza trovata nell'alba di Ait Ben Haddou
Alle volte penso quale sia stato il momento più bello in
bici, il ricordo più significativo del mio infinito "cercare la bellezza", l'emozione speciale. Molte immagini passano per
la mente. Ci pensavo stamani, mentre pedalavo verso Gaiole. Non sono un
ciclista di quelli che viaggiano a testa bassa, con uno sguardo alla media e l’altro
al tempo finale da fare. Sono un appassionato del sabato e della domenica, alle
volte anche del martedì o del mercoledì. Non a caso ho sempre una fiera
pancetta che testimonia la mia assoluta passione per i piaceri della vita,
quelli profani della tavola intendo. Da una vita sono a dieta, o quasi, ma non
sono mai riuscito a perderla. Ma torniamo alla storia di oggi, al momento speciale in bici. Questi attimi, ore o minuti, non si possono mai separare dal
contesto o dalla compagnia del momento. Tutto è essenziale affinché l’emozione
si cementifichi nella mente. Era una delle caldissime giornate marocchine della
seconda metà dell’agosto 2010. Eravamo arrivati in sei (sei siamo tornati,
premetto) per fare il tragitto da Fez a Marrakech, attraverso il glorioso monte
Atlante. Quel giorno tre compagni di viaggio preferirono tagliare in taxi
il tragitto. Per Fabio, Riccardo e me era inaccettabile non pedalare verso il
passo di “Col du Tichka” ovvero il passo vicino la vetta del monte Atlante. Volevamo accorciare
gli 80 km di salita verso questo colle speciale e lasciammo Ouarzazate nel
tardo pomeriggio nonostante le nuvole fossero terribilmente nere sopra di noi.
D’improvviso tutto si fece buio ed iniziò a cadere la pioggia più fitta e forte
che mai abbia visto in vita mia. Eravamo ai bordi del deserto sull’unica strada
asfaltata presente nella zona, ma nessun mezzo passava in mezzo a quella
tormenta che ci impediva di pedalare, tanto era violenta. Dai 50 gradi
del giorno si era forse arrivati a 15 e quasi tutto sembrava
diventare impossibile. Ci fermammo vicino ad una palma, l’unico posto dove
poter sostare, visto che era impossibile andare avanti in mezzo alla natura che si stava sfogando. E’
proprio nei momenti in cui tutto sembra perso che inizia la ripresa. Quando il nero è veramente nero appare d’improvviso il bianco. E' questa la vita, sempre. Quella volta il
bianco era rappresentato da un camion vuoto. Sembrava impossibile, ma era
proprio così, con tanto di cassone in ferro coperto. Il popolo marocchino è
gentile ed accogliente nelle campagne, ospitale e generoso. Ci fecero salire,
ridendo fra di loro, mentre in francese provavamo a chiedere informazioni, tipo
Totò e Peppino a Milano, visto che appena sapevamo in che zona ci eravamo
fermati. Riccardo davanti con i due amici marocchini, io e Fabio dietro, al
buio nel cassone. Dieci minuti e la tormenta finì. Eravamo arrivati ad Ait Ben
Haddou, un posto famoso all’estero per delle rovine che si trovano a poca
distanza, ma delle quali la gente del posto quasi ignora la presenza. Hanno altre priorità ogni giorno, tipo sopravvivere, detto in sintesi. Ci
fermammo nell’unico hotel-ristorante-bar del posto. Le Carrefour si chiamava e si chiama. Il
proprietario è una persona fantastica. Una vita passata dentro l’aeroporto di
Parigi (credo di ricordare) a fare il cuoco. Tutto per mettere da parte i soldi necessari a comprare una piccola attività nel suo
piccolo paese, Ait Ben Haddou appunto. Seguì una fantastica cena marocchina,
fatta con il cuore, lo stesso immenso di questo popolo bellissimo (le persone aggressive che si incontano nei souk Marrakech o Fez sono l’opposto esatto). La mattina fummo svegliati dal muezzin,
che alle 4 o alle 5 iniziò la preghiera. Il megafono della moschea sembrava fosse in camera, tanto era forte. All'ennesimo proclama"Allah akbar" decidemmo di alzarci e partire. Ci aspettava l’Atlante
e 80 chilometri di salita. Partimmo che ancora era buio pesto, illuminati
giusto dalla penombra della luna. Alla nostra destra c’era l’oriente. D’improvviso
apparvero i raggi di sole dietro al colle che fino a qualche minuto prima li
aveva tenuti gelosamente nascosti. Erano i raggi di sole più belli che avessi
mai visto, quasi un miracolo. Ci fermammo quasi all’unisono, tutti colpiti da
questi raggi speciali, di un colore mai visto, fra rosso ed arancione, bellissimi.
Sembravano delle spade che sconfiggevano le tenebre e che mi hanno trafitto il
cuore. La foto rende poco l’idea della bellezza e dell’emozione che hanno lasciato
in me. Adesso quest’immagine è sopra il mio letto e mi ricorda ogni volta che
entro in camera il miracolo della vita che arriva, del giorno che nasce e comunque rinasce anche dopo i momenti più neri. Durò
pochi minuti questo fenomeno, lasciando spazio alla luce vera e propria, che trasformò l’aracione-rosso del cielo in uno splendido azzurro. Ad ogni
strada che afferiva sulla nostra d’improvviso apparvero tanti bambini e donne
con contenitori pieni di latte. Erano le mogli ed i figli dei pastori, che attendevano che passasse il camion che raccoglieva il latte delle loro pecore o capre. Dopo la pioggia, le
tenebre, era tornata la vita, annunciata da un sole e da una luce speciale. E’
stato questo uno dei momenti più belli in bici, che arrivò dopo una
grandissima difficoltà e prima di un’emozione unica, l’arrivo al passo del
monte Atlante. Ma questa è un’altra storia che vi racconterò e ricorderò a me
stesso.
venerdì, marzo 23
Perché la bici
Era il 2000, o forse il 2001, sicuramente c'era un Lello di 115 kg e rotti (100 adesso... mica troppo meno). Decisi di smettere di mangiare e riprendermi, o cercare di riprendermi, un minimo di salute, causa esami del sangue "terminali" a 33 anni, senza allusioni ad altri più importanti di me deceduti a questa età. Dieta, dunque. A 100 kg, come da promessa con me stesso, comperai la prima bici "importante", una Scott dai ragazzi in Massetana. Mitica bici! Mi sembrava una Ferrari tanto era bella ai miei occhi. Sospensioni davanti, telaio blu con rifiniture bianche e rosse. I tecnici l'avrebbero definita di fascia medio-bassa, ma per me era un capolavoro. La mia prima bici da "atleta". E' stato con lei che ho raggiunto il mio primo grande obiettivo ciclistico, arrivare sulla vetta del Montemaggio. Al tempo abitavo in Strada di Pietriccio e Belriguardo ed arrivare a Pian del Lago era velocissimo, non più di cinque minuti pedalando in discesa. Non so quante volte ho fatto la discesa, percorso la spianata, poi iniziato la salita. Ogni volta mi imponevo di fare almeno un metro in più di quanto avevo fatto la volta precedente. Alle volte ci riuscivo, altre no. Mi ricordo la prima volta che arrivai al tiro a piattello, poi al Castello di Celsa. Giravo la bici e, stanchissimo, tornavo a casa, preoccupato per la salita delle Fornacelle che mi aspettava. Un piccolo Stelvio quando hai le gambe a pezzi. Mi ricordo in modo chiarissimo la prima volta che arrivai in "vetta" al nostro Montemaggio, con la villa sulla sinistra. Tante volte avevo percorso in auto quella strada andando a "casa del Mao" uno dei miei migliori amici, una persona a cui voglio bene, così come a sua sorella ed i loro familiari. Quande serate a mangiare e bere parlando di Palio, con la discesa fatta con i finestrini aperti anche d'inverno! Era sempre stato in auto, ma questa volta lo avevo fatto con la bici. Mi ricordo chiaramente che gli ultimi metri piansi. Ero arrivato in vetta. Il primo obiettivo da "novello atleta" lo avevo raggiunto. Mi sentivo forte, capivo che ce la potevo fare. Più tardi avrei imparato che le energie più preziose di trovano sulla strada, dalla bellezza che queste emanano e ti prendono. Ma di ciò ci sarà tempo per parlare...
La di questo tramonto sul Montemaggio foto è tratta da www.fotoincammino.it, un bel sito sulla nostra terra.
La di questo tramonto sul Montemaggio foto è tratta da www.fotoincammino.it, un bel sito sulla nostra terra.
giovedì, marzo 22
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