venerdì, giugno 22

Que sera, que sera, que sera...

Nel mio corpo da splendido ultra quarantenne un poco malconcio c’è un campanello che alle volte suona. E’ il ginocchio destro, fracassato dieci anni fa, che ha bisogno di almeno un giorno o due alla settimana di attività sportiva per non fare male. Ovviamente di tutto questo non importa nulla a nessuno. Sono assolutamente d’accordo. Non facendo pressoché niente di sportivo (se non mangiare) da un paio di settimane, il mio “orologio” sta suonando sempre più forte. Il caldo di questi giorni è bellissimo e mi ha riportato alla mente tante giornate torride passate in bici. Le “peggiori” sono state sicuramente in Marocco, nel deserto fra Errachidia e Gulmima, circa 80 chilometri e tre leggere curve, forse due.. con quasi sessanta gradi (non esagero), durante una delle cazzate finite bene più grandi che abbia mai fatto. Era l’agosto del 2010 ed arrivammo alla meta solo io e Fabio, “quasi” salvi dopo che altri quattro amici avevano detto saggiamente stop diverse ore prima. Il caldo mi riporta alla mente il “viaggio”, quello con la bici, una porta che sento il bisogno di riaprire dopo quasi due anni che è chiusa. Alle volte basta una piccola frase che senti, due parole che leggi per spalancarti orizzonti antichi nella mente. “Il viaggio è una specie di porta, per la quale si esce dalla realtà per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno”, così scrisse Guy de Maupassant. Quest’anno è tornato il momento di ri-viaggiare in solitudine, almeno in parte, perché la mia vita è cambiata. E’ dal 2006 che non lo faccio e certamente mi manca di stare qualche giorno con la bici, la strada, il sacco a pelo, la tenda e me stesso. Il tempo è passato, forse anche troppo, e sono successe molte cose nella mia vita, alcune brutte, altre molto belle. Nuovi amici, altri con i quali ho cementificato il legame ed una persona (non pensavo potesse esistere) che è diventata la parte migliore di me e come tale è e sarà sempre la compagna migliore di ogni “viaggio” che sia su due ruote, o su due piedi, ma anche solo sognato. Voglio molto bene a tutti coloro che sinceramente mi sono vicini, dalla famiglia, agli amici, così come ai colleghi di lavoro, anche se alle volte lo manifesto in modo “strano” o “irrituale” questo legame, come tutte le persone che stanno imparando a vivere e che raramente capiscono in tempo reale quando sbagliano o fanno bene, se non attraverso gli sguardi o le incazzature di chi ci è vicino. Ieri sera sono andato a ri-guardare la bici da viaggio, compagna di tante avventure, un pezzo di ferro pesantissimo al quale sono molto affezionato e che alle volte non esito a coccolare. Non ha ovviamente un nome, visto che quando siamo insieme è una parte di me, come il ginocchio rotto. Conosce i miei pregi ed i miei difetti, così come io conosco i suoi punti deboli e tutti i suoi rumori. Mi asseconda e sa bene che la porterò sempre alla meta, quasi sempre sana e salva, pronta a ripartire, senza sentire la fitta in più.

Mentre pedalo capita spesso di vedere piccoli borghi o paesini arroccati sulle montagne. Mi viene spesso in mente “Che sarà” bellissima canzone di José Féliciano, che diventa sublime se ascoltata in spagnolo. Mi ricorda anche la mia Siena, il “paesone” dove sono nato. Sotto ho messo delle foto per me significative. Il bronzo è parte di una scultura sul Cebreiro, salita che si trova lungo il Cammino di Santiago, forse la più dura. Ci sono segnati tutti i Cammini europei ed anche la Francigena che passa da Siena. L'altra foto è invece la scogliere ed il mare di Finisterre, in Galizia, che fino alla scoperta dell'America era considerata l'ultima parte del mondo, la fine della terra e di ogni viaggio, Finisterre, dunque.


Paese mio che stai sulla collina,
disteso come un vecchio addormentato
la noia, l'abbandono, il niente son la tua malattia,
paese mio ti lascio io vado via.
Che sarà, che sarà, che sarà.
Che sarà della mia vita chi lo sa.
So far tutto o forse niente, da domani si vedrà,
e sarà, sarà quel che sarà.
Gli amici miei son quasi tutti via
e gli altri partiranno dopo me.
Peccato perché stavo bene in loro compagnia,
ma tutto passa, tutto se ne và.
Che sarà, che sarà, che sarà.
Che sarà della mia vita chi lo sa.
Con me porto la chitarra e se la notte piangerò,
una nenia di paese suonerò.
Amore mio ti bacio sulla bocca
che fu la fonte del mio primo amor,
ti do L'appuntamento dove e quando non lo so,
ma so soltanto che ritornerò.


Pueblo mio, que estas en la colina
tendido como un viejo que se muere
la pena, el abandono, son tu triste compañia
pueblo mio te dejo sin alegria.
Que sera, que sera, que sera
que sera de mi vida, que sera
si se mucho o no se nada
ya mañana se vera, y sera
sera, sera lo que sera.
Ya mis amigos, se fueron casi todos
y los otros partiran despues que yo.
Lo siento porque amaba su agradable compañia
mas es mi vida tengo que marchar.
Que sera, que sera, que sera
que sera, de mi vida que sera
en las noches mi guitarra dulcemente sonara
y una niña de mi pueblo llorara.
Amor mio me llevo tu sonrisa
que fue la fuente de mi amor primero
amor te lo prometo, como y cuando no lo se
mas se tan solo que regresare.