lunedì, ottobre 28

Siamo stati creati tutti uguali nell’amore. Un pensiero per il ragazzo che è volato in basso per risalire verso il cielo


Da molto tempo non scrivevo nulla su questa mia lavagna virtuale. Mi riprometto di riprendere con maggiore costanza nelle prossime settimane, quando e se avrò qualcosa da dire. Da due giorni penso ad “una Parte della Bellezza” di questa nostra sgangherata terra, che ha scelto di volare in basso, sperando di risalire verso il cielo. Mi riferisco al ragazzo di Roma che si è tolto la vita, lasciando un biglietto terribile, una denuncia che allo stesso tempo è anche un grido di dolore profondo, un “non sentirsi” parte di questa terra e scegliere così di andare altrove: “Sono gay. L’Italia è un Paese libero ma esiste l’omofobia e chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza”. Queste le terribili parole che ha lasciato scritte in un biglietto prima del suo volo verso l’infinito. Come detto sopra, mi hanno fatto tornare in mente (parafrasando) le parole di uno dei miei scrittori preferiti Fabio Volo (eh si… Tolstoj mi annoia…): “Era come se andando via in realtà avessi preso la rincorsa per tornare più vicino”. Il suo terribile gesto è stato infatti anche un grido forte, una freccia lanciata in basso, che risalendo verso il cielo resterà nella mente di chi ancora pensa che l’identità sessuale sia un difetto, o peggio altro ancora. Omofobia, detto in una parola. Per chi non lo sapesse (faccio volutamente una forzatura di questo terribile fatto di cronaca) nei campi di concentramento gli omosessuali erano identificati con un triangolo rosa sulla loro divisa da prigioniero.

Non so se ho amici omosessuali, perché francamente non mi pongo il problema di chi voglia baciare o con chi voglia fare l’amore la mia amica o il mio amico. L’importante è la felicità ed ognuno ha diritto a scegliere quella che preferisce, seguendo il cuore. Ritengo già di per sé una discriminazione affermazioni del tipo “Ho amici gay”, oppure “A me non danno fastidio” o altro, perché alle volte nascondono dentro di sé il gene dell’intolleranza. Non commento neppure chi considera l’omosessualità una devianza oppure una malattia, degna o bisognosa di cure mediche o psicanalitiche. Forse qualche persona è talmente infelice da voler indicare agli altri la strada verso la felicità, visto che la loro e' solo un miraggio.

Tanto per essere chiari mi piacciono poco (ma non mi danno fastidio) le manifestazioni di massa, spesso provocatorie, che non portano neppure un mattone alla costruzione della “cattedrale della tolleranza”, ma che al contrario hanno solo la conseguenza di radicalizzare le posizioni.

Il giorno in cui non si parlerà più di etero ed omosessuali sarà un traguardo, perché vorrà dire che quel giorno non ci sarà più bisogno di manifestare il malessere o l’assenza di diritti.

In questo minestrone di pensieri aggiungo anche che non sono favorevole a priori alle adozioni per le coppie omosessuali, ma sono anche convinto che un bambino stia molto meglio in casa con due persone che si amano piuttosto che in un orfanotrofio dove può succedere di tutto, oppure gettato in una strada in qualche posto dimenticato da Dio e dagli uomini. Ma questo non c’entra nulla con questo post, proprio nulla. Era solo per far capire che non si deve confondere e mettere nello stesso calderone il diritto di cittadinanza ed il diritto alla felicità di una coppia di persone con le adozioni. Sono infatti semplificazioni e sintesi che bloccano la scrittura di ogni altra regola di civiltà e radicalizzano le posizioni.

“Vorrei donare il tuo sorriso alla luna perché di notte chi la guarda possa pensare a te. Per ricordarti che il mio amore è importante, che non importa ciò che dice la gente…”. Sono le parole di una canzone di Tiziano Ferro dedicate, credo, anche al suo compagno.

Ieri sera a “Che tempo che fa” Massimo Granellini (un grandissimo) ha parlato di questo caso ed ha citato il mito di Aristofane o dell’androgino tratto dal Simposio di Platone (non un Lello qualsiasi...). Sotto ho messo la sintesi di Wikipedia, poi per i più avventurosi il pdf dell’opera del grande filosofo greco, vissuto circa 2500 anni fa. A quel tempo non esistevano forme di disciminazione per l’omosessualità, visto che era "solo" uno dei due orientamenti sessuali.

Rende alla grandissima l’idea. 
Morale finale. Tutte le persone su questa benedetta o maledetta terra sono state create uguali ed hanno gli stessi diritti, gli stessi doveri e devono avere anche le stesse opportunità, prima fra tutte quella di vivere la “felicità” che singolarmente o in coppia ciascuno sceglie. 
Conta solo l’amore.

 



Mito di Aristofane o dell'androgino

(Tratto da Wikipedia)



Il mito di Aristofane (o mito dell'androgino) è presente nel celebre dialogo platonico Simposio, che si propone di trattare l'immortale tema dell'amore. Dopo l'esposizione di Fedro, Pausania ed Erissimaco, inizia a parlare Aristofane, il famoso poeta comico, che sceglie il mito come veicolo della sua opinione su Eros. Tempo addietro - espone il poeta - non esistevano, come adesso, soltanto due sessi (il maschile e il femminile), bensì tre, tra cui, oltre a quelli già citati, il sesso androgino, proprio di esseri che avevano in comune caratteristiche maschili e femminili. In quel tempo, tutti gli esseri umani avevano due teste, quattro braccia, quattro mani, quattro gambe e due organi sessuali ed erano tondi. Per via della loro potenza, gli esseri umani erano superbi e tentarono la scalata all'Olimpo per spodestare gli dei. Ma Zeus, che non poteva accettare un simile oltraggio, decise di intervenire e divise, a colpi di saetta, gli aggressori.


"Finalmente Zeus ebbe un'idea e disse: "Credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi. "

(Platone, Simposio, 190c-d, trad. it. Franco Ferrari)


In questo modo gli esseri umani furono divisi e s'indebolirono. Ed è da quel momento - spiega Aristofane - che essi sono alla ricerca della loro antica unità e della perduta forza che possono ritrovare soltanto unendosi sessualmente. Da questa divisione in parti, infatti, nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità, tanto che le "parti" non fanno altro che stringersi l'una all'altra, e così muoiono di fame e di torpore per non volersi più separare. Zeus allora, per evitare che gli uomini si estinguano, manda nel mondo Eros affinché, attraverso il ricongiungimento fisico, essi possano ricostruire "fittiziamente" l'unità perduta, così da provare piacere (e riprodursi) e potersi poi dedicare alle altre incombenze cui devono attendere.


"Dunque al desiderio e alla ricerca dell'intero si dà nome amore "

(Platone, Simposio, 192e-193a, trad. it. Franco Ferrari)


Siccome i sessi erano tre, due sono oggi le tipologie d'amore: il rapporto omosessuale (se i due partner facevano parte in principio di un essere umano completamente maschile o completamente femminile) e il rapporto eterosessuale (se i due facevano parte di un essere androgino).

La caratteristica interessante del discorso di Aristofane risiede nel fatto che la relazione erotica fra due esseri umani non è messa in atto per giungere a un fine quale potrebbe essere la procreazione, ma ha valore per se stessa, prescindendo così dalle conseguenze.




Grazie al sito www.ousia.it potete scaricare il pdf del Simposio di Platone.