venerdì, settembre 6

Monaco-Siena, salutando Venezia. Mille chilometri in bici, terza parte... to be continued


Vittorio Veneto è stata una tappa significativa. Le grandi montagne erano oramai superate e solo l’Appennino sarebbe stato l’ultimo vero ostacolo verso Siena, oltre alle provinciali che attraversano il Po. Il ricordo sarà sempre forte, anche per il simpatico proprietario dell’hotel Sanson, nome quantomai significativo per il ciclismo, ad imperitura memoria di uno degli sponsor più importanti di Francesco Moser. Inutile dire che era un vero appassionato di ciclismo, con una bella memoria, nonostante gli anni: “Ti darò la camera più bella allo stesso prezzo, non la singola che hai chiesto, almeno riposi meglio. Poi vedrai che panorama dalla terrazza!”, mi ha detto dopo almeno mezz’ora di dialogo appena sceso di bici, prima che mi fossi cambiato ed ovviamente prima del check in. Aveva ragione il signor Sanson, dalla camera si vedeva l’orizzonte lontanissimo, con i colli del prosecco che facevano da frontiera con il mare ed il Piave, ancora nascosto, pronto a manifestarsi con tutta la sua storia, dignità e maestosità. La mattina ho preferito partire molto presto, stavo bene fisicamente e mi ero posto un obiettivo molto ambizioso, arrivare a Venezia, superarla ed avvicinarmi più possibile a Forlì attraverso la strada provinciale, approfittando del giorno festivo e dell’assenza dei grandi camion. Per evitare di stancarmi solo al pensiero, non avevo fatto i conti dei chilometri da coprire, che alla fine sono stati circa 170. L’alba non mi ha colto di sorpresa, visto che ancora a buio avevo preparato i bagagli e chiuso le borse, facendo colazione in camera con biscotti e succo di frutta, riservandomi il caffè alla prima pausa, dopo almeno due o tre ore di pedali. I colli del prosecco sono bellissimi e tutto è tenuto in modo perfetto. Complice l’alba ed anche un poco di nebbia i colori erano straordinari e si annunciava la prima vera e propria giornata di sole pieno, con tutto il caldo che era mancato nei quattro giorni precedenti e soprattutto senza il rischio pioggia. Il Piave, come dicevo, è maestoso e soprattutto consente di tuffarsi con la mente nella storia italiana, quella vera, quella in cui la parola Patria non era un concetto astratto, ma un modo di essere e di intendere la vita. Si partiva per fermare il nemico e tenerlo lontano dalle famiglie. La morte era messa in preventivo, un prezzo pagabile. Leggere nei cartelli “Piave fiume sacro alla Patria” da emozione vera, come del resto il monumento al Bersagliere di San Donà di Piave, posto alla fine del grande ponte di ferro, vicino all’ingresso della ciclovia che prosegue ancora per tanti chilometri verso Venezia e la sua laguna. Dopo qualche colle la strada diventa completamente piana e le ciclabili sulla laguna sono pressoché perfette, con uno sterro dolce ed ordinato. Non a caso si incrociano tantissime persone, fra queste una quantità sterminata di famiglie su due ruote, che sfruttano al meglio l’assenza di pericoli e soprattutto l’aria buona ed i panorami speciali. Anche in questo caso moltissimi hanno la bici elettrica, ennesima testimonianza di un mondo in grandissimo cambiamento, una rivoluzione silenziosa che sta cambiando gli spostamenti delle persone.
Il tempo e la strada scorrono in fretta e con la mente libera si arriva velocemente Jesolo, Lido di Jesolo, quindi a Punta Sabbioni, dove ho preso il traghetto che mi ha consentito di salutare Venezia da lontano e poco dopo sbarcare a Chioggia, con qualche cambio ed una quindicina di chilometri pedalati sulle due isole che separano la città dei Dogi dalla patria del pesce crudo.
Le provinciali sul delta del Po hanno il pregio di avere una corsia d’emergenza molto grande e senza troppa paura si possono fare tanti chilometri a buone medie, tir e automobilisti distratti permettendo. Era domenica e mi ero posto l’obiettivo di arrivare almeno in provincia di Ferrara. Questo mi avrebbe consentito di dormire a Forlì o Predappio il giorno successivo e prepararmi all’ultima grande tappa con il Passo della Calla, prima del breve trasferimento da Arezzo a Siena. Vuoi per la concentrazione, vuoi per la pianura sono riuscito a coprire tantissimi chilometri, sfruttando il poco traffico domenicale. Quando ho guardato il numero dei chilometri fatti, oltre 160, puntuale è arrivata la crisi di fatica. Con un’poca di fortuna ho trovato un albergo bellissimo a prezzo stracciato (sotto 40 euro), l’Hotel Rurale Cannevié, ricavato da un ex capanno dei pescatori, un luogo veramente incantevole con un ristorante super. Telefonata di rito e, conti alla mano, mancavano solo sette o otto chilometri di pianura alla meta. La fatica della testa è peggiore di quella delle gambe e quando sono loro a comandare (invece della mente), la fine è segnata. Incredibile a dirsi, a soli due chilometri dall’arrivo mi sono praticamente bloccato, in preda a crisi di fame, caldo e sete, tutte in contemporanea. In questi casi c’è una sola cosa da fare, anzi due: la prima è ragionare, la seconda è mangiare, bere e prendere degli zuccheri ad immediato assorbimento. Sono bastati dieci minuti di pausa ed un mini pasto per ritrovare testa e le energie giuste, che mi avrebbero consentito di fare ancora diversi chilometri. Ma erano già le cinque, albergo prenotato, ed era giusto mettere uno stop alla giornata.
Il risveglio è stato speciale, in un ambiente bellissimo. Solo una mosca maledetta mi ha stressato più volte durante la notte. La pedalata verso Forlì è stata invece l’esatto opposto. I quaranta chilometri che mi hanno portato a Ravenna sono stati molto faticosi, non tanto per la lunghezza della strada, quando per il traffico. Ho rimpianto le bellissime ciclabili dei giorni precedenti, confrontandole con la squallida corsia di emergenza della SS309. Uscire da Ravenna è stata una vera e propria impresa. Tanti lavori in corso, strade interrotte ed ogni tragitto verso Forlì che portava sulla statale interdetta alle bici. Dopo quasi un’ora di giri a vuoto, informazioni chieste e forse capite male, è stato il momento di fermarsi, comprare della frutta, prendere un caffè e ragionare, trovando la strada più comoda e soprattutto senza auto. Così è stato e magicamente sono giunto a Forlì su stradine ricavate nel bordo dei canali che portano l’acqua per le irrigazioni dei campi. Due ore almeno bellissime, nelle ore più calde del giorno, salvo qualche zanzara di troppo, ma comunque sopportabile. Stavo bene e con una ventina di chilometri in più avrei scorciato il tappone del giorno successivo arrivando a Predappio. Una rapida ricerca mi ha consentito di trovare una bella camera in un appartamento condiviso. Avevo anche voglia di parlare con qualcuno dopo una giornata passata una parte con i camion che passavano a poco più di un metro, l’altra nella pace delle strade secondarie o semi abbandonate. Tutto è giusto e perfetto dunque.
Devo dormire, domani mi aspetta il divino Passo della Calla.
To be continued… 

Per chi vuole vedere un poche di foto con buona musica...
https://youtu.be/Xh6F7hxJRUY

La Canzone del Piave, conosciuta anche come La leggenda del Piave, è una delle più celebri canzoni patriottiche italiane. Il brano fu composto nel 1918 dal maestro Ermete Giovanni Gaeta (noto con lo pseudonimo di E.A. Mario). Della canzone che segue sotto ancora, Inno al Soldato ignoto d'Italia, non trovato invece data ed autore, ma era comunque bella e da pubblicare.
La canzone del Piave
Il Piave mormorava,
calmo e placido, al passaggio
dei primi fanti, il ventiquattro maggio;
l'esercito marciava
per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera...
Muti passaron quella notte i fanti:
tacere bisognava, e andare avanti!
S'udiva intanto dalle amate sponde,
sommesso e lieve il tripudiar dell'onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero,
il Piave mormorò:
Non passa lo straniero!
Ma in una notte trista
si parlò di un fosco evento,
e il Piave udiva l'ira e lo sgomento...
Ahi, quanta gente ha vista
venir giù, lasciare il tetto,
poi che il nemico irruppe a Caporetto!
Profughi ovunque! Dai lontani monti
Venivan a gremir tutti i suoi ponti!
S'udiva allor, dalle violate sponde,
sommesso e triste il mormorio de l'onde:
come un singhiozzo, in quell'autunno nero,
il Piave mormorò:
Ritorna lo straniero!
E ritornò il nemico;
per l'orgoglio e per la fame
volea sfogare tutte le sue brame...
Vedeva il piano aprico,
di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora...
No!, disse il Piave. No!, dissero i fanti,
Mai più il nemico faccia un passo avanti!
Si vide il Piave rigonfiar le sponde,
e come i fanti combatteron l'onde...
Rosso di sangue del nemico altero,
il Piave comandò:
Indietro va', straniero!
Indietreggiò il nemico
fino a Trieste, fino a Trento...
E la vittoria sciolse le ali al vento!
Fu sacro il patto antico:
tra le schiere, furon visti
Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti...
Infranse, alfin, l'italico valore
le forche e l'armi dell'Impiccatore!
Sicure l'Alpi... Libere le sponde...
E tacque il Piave: si placaron l'onde...
Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò
né oppressi, né stranieri! 


Inno al Soldato Ignoto d'Italia
La gloria era un abisso,
che si stendeva dallo Stelvio al mare,
ma l'occhio ardente e fisso
non si distolse e si dovea passare.
E la chiodata scarpa che passava
tritò l'impervio Carso a roccia a roccia;
pigiò nel Piave sacro che arrossava
sangue nemico tratto a goccia a goccia!
Soldato ignoto, e Tu: perduto fra i meandri del destino!
mucchio senza piastrino, eroe senza medaglia,
il nome Tuo non esisteva più.
Finita la battaglia, fu chiesto inutilmente:
nessun per te poteva dir : presente!
Il Piave era una diga:
file d'elmetti e siepi di fucili,
zappe e chitarre, e tutti quanti in riga.
No, Generale, i Fanti non son vili:
la Morte li afferrò tra le sue branche,
li strinse a mille nelle ossute braccia,
li rese irriconoscibili fantasmi
ne disperse fin l'ultima traccia.
Soldato ignoto, e tu disperso tra i meandri del Destino!
Muto senza piastrino, eroe senza medaglia,
il nome tuo non esisteva più.
Finita la battaglia fu chiesto inutilmente
(ma) tra i morti intatti (ri)cercherò l'assente.
Il Carso era una prora,
prora d'Italia volta all'avvenire,
immersa nell'aurora,
con il motto in cima vincere o morire!
E intorno a quella prora si moriva,
mentre alla nave arrise la vittoria
e il nome di ogni Fante che periva
passava all'albo bronzeo della storia!
Soldato ignoto, e Tu: ritorna dai meandri del destino!
brilla il Tuo bel piastrino, fregiato della palma:
Tu sei l'eroe che non morrà mai più!
E solo la Tua salma, che volta ad oriente,
da Roma può rispondere: presente!

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