Il bello della sera è che possiamo abbandonarci ai nostri
pensieri, alle nostre passioni, ripensando ad alcune cose che durante il giorno
ci sono passate davanti agli occhi o nella mente, ma non abbiamo avuto il tempo
di fermarci e “stare un poco con loro”. E’ appena finito il mio telefilm
preferito ed il mio pensiero torna alla Cruz de hierro. Erano i primi giorni
dell’agosto 2006, sul Cammino di Santiago, un caldo tremendo, dieci giorni che
hanno cambiato in parte la mia vita, quantomeno il modo di vederla e di
conseguenza viverla. Ho ripensato a John, forse si chiamava così. Era un
attempato signore americano, seduto su una panchina di fronte alla Cruz.
Arrivai dove è posto questo simbolo dopo una salita “concreta”, abbastanza
stanco, non sapendo quello che avrei trovato o visto. Feci la foto di rito, poi
mi chiesi cosa fosse quella montagna di oggetti e pietre. Oggi farei il scelte
inverse, ma questa è un’altra storia. John mi disse che là dovevamo lasciare
tutti gli oggetti inutili che ci eravamo portati con noi lungo il Cammino. Da
lì a pochi chilometri ci sarebbe stato il Cebreiro ed ogni grammo risparmiato
sarebbe stato prezioso. Mi sembrava una frase senza senso. Ero forte così e non
avevo con me nulla di superfluo. Dopo qualche mese, o forse qualche anno, ho
capito quello che intendeva il saggio John, faccia pulita, barba fatta, capelli
brizzolati e ordinati. Non gli chiesi chi fosse, mi disse solo che veniva dagli
“United States”, dagli Usa. “Qua dobbiamo lasciare il superfluo del viaggio”,
mi disse ancora quando gli chiesi cosa ci facessero libretti universitari,
oggetti, pupazzi e tantissime altre cose. “Certo John, ma con me ho solo gli
oggetti necessari per il viaggio”. Guardò la mia bici e mi disse ridendo che
avevo almeno due bagagli in più del necessario. Forse era vero, avevo quattro
borse, adesso viaggio con le sole due posteriori, più una anteriore. Posso
migliorare. “Ok, buen Camino, my friend”, mi disse in segno di saluto. Passato
il Cebreiro, trascorsi la notte a Samos, dove c’è un fantastico monastero
benedettino. Ritrovai là una coppia di amici di Roma che avevo già trovato
vicino Pamplona. Un autentico mistero. Loro a piedi, io in bici, ma il destino
casualmente ci faceva trovare ancora. Ci sarà un terzo incontro, all’aeroporto di Santiago
mentre prendevamo l’aereo. Sono nelle foto del video che ho messo su You Tube,
chissà se torneremo in contatto. Non so come si chiamano, non ricordo. Il numero
di telefono o la mail non ce la siamo scambiata. Sapevamo che scrivendoci i
recapiti forse ci saremmo detti meno cose della nostra vita di quanto stavamo
facendo. E’ il bello del viaggio. Racconti cose molto intime a chi incontri,
forse perché sai che non lo ritroverai mai più. La sera mangiammo in una
trattoria per pellegrini, quelle che a cinque euro, massimo sette, ti fanno stare
alla grandissima. Chi ha fatto il Cammino sa quello che intendo. Bevemmo “vinto
tinto” in abbondanza, una bottiglia in tre. Era molto buono, della Rioja, bella
regione della Spagna attaccata alla Navarra. Forse ci aiutò a parlare liberamente
nell’ora successiva. Andammo vicino al torrente che scorre vicino al monastero
e mettemmo i piedi nell’acqua fredda. Loro avevano camminato, io pedalato, tutti
e tre bevuto in armonia e quell’acqua fresca ci ritemprava. Gli chiesi cosa
avessero lasciato alla Cruz de hierro. Lui mi disse che aveva lasciato uno dei
due bracciali che portava da sempre al polso. Mi disse che ne avrebbe comperato
un altro d’oro al ritorno, per ricordarsi sempre che portava i bracciali non
perché “portavano bene”, ma solo perché erano belli. E’ un passaggio mentale
particolare. Aveva lasciato sulla Cruz de hierro una parte di sé, o quantomeno
quella che riteneva fosse una parte di sé. “E te Lello cosa hai lasciato?”, mi
chiese lei. “Qualche pensiero inutile che alle volte mi passa per la testa”,
gli risposi, giusto per fare bella figura con una frase d’effetto. In pratica
non ci avevo lasciato nulla, ma solo nella discesa realizzai tutto questo.
Tornerò a Santiago, tornerò sul Cammino, magari in compagnia o forse da solo. Alla Cruz de hierro mi soffermerò. Non so cosa lascerò
là sotto. Forse nulla, forse qualche pensiero, forse un oggetto di qualche
amico che mi chiederà di mollarlo là sotto. Ogni metro di strada fatta, ogni
secondo della vita, non ti lascia mai uguale al precedente, benché quasi sempre
in modo impercettibile. Ti lascia migliore, in quanto più ricco d’esperienza.
Purtroppo, o per fortuna, a questo nostro “eterno viaggiare” alla ricerca di
noi stessi o del senso della vita, non c’è mai fine, alternando le nostre
esperienze fra il bianco ed il nero, muovendoci da est a ovest, da nord a sud,
sempre alla ricerca di qualcosa che neppure sappiamo di cercare. La cosa importante
è sorprendersi sempre, aver sempre voglia di tornare sotto una Cruz de hierro e
lasciare un orpello inutile della vita che ci portiamo dietro, perché poi arriverà
sempre una salita che richiederà di essere “leggeri” per affrontarla, senza avere
come zavorra oggetti o preconcetti che potranno solo appesantire il nostro
passo. Forse nasciamo con mille personalità dentro di noi, poi la vita ci offre
l’occasione di “cacciare” tutto ciò che non è parte di quello che realmente
siamo, affinché si possa arrivare ad un secondo prima della fine del viaggio, o
un secondo dopo iniziando il nuovo, non essendo più “molti uomini”, ma un uomo
solo. E’ l’infinito, brutto o bello, amaro e dolcissimo, cammino della vita. E’
un poco patetico e retorico questo post, ma chi mi conosce sa bene che il
Cammino di Santiago mi ha reso un poco “strullo”, ma va bene così. “Viaggerò”
ancora, sempre, non per vedere paesaggio nuovi, ma per trovare la parte di me
stesso che la “bellezza” di ciò che vedrò riuscirà a farmi scoprire. Non importa
che il nuovo paesaggio sia uno scorcio di quello che vedo dalla finestra di
casa o la Cruz de hierro. Importante sarà lo spirito con cui guarderò ciò che
avrò davanti o dentro di me.
Nella foto uno scorcio della Real Abadía Benedictina de Samos con il piccolo torrente che le scorre vicino e intorno.
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