giovedì, agosto 2

Tappa 4 - La foto di Mario ed il barcarolo che non c'è

Oggi seconda mega scorpacciata di chilometri, giusto per arrivare sotto la Cisa: da Mortara a Fornovo di Taro, 166 km in quasi nove ore sui pedali, più le soste, con un caldo infernale e le forze arrivate veramente alla fine. Si fanno sentire le borse e la bici, quasi 35-40 chili da portare da Losanna a Siena, oltre ai 95 chili miei, s’intende. Domani mi attende la Cisa e dovrà essere un venerdì da leone, visto che la salita è impegnativa: oltre 40 km per arrivare al passo. Speriamo bene… Ma veniamo ad oggi, altrimenti mi intristisco anche io! Tanto per iniziare, partenza di buon ora. Già poco dopo le 7 ho lasciato Mortara, che ad iniziare dal nome ha veramente poche cose belle per cui starci dieci minuti in più. Colazione con le paste (ex) surgelate ed il solito caffè macchiato bollente che rovina la giornata sul nascere. Ma proprio non sono capaci a farlo semplicemente caldo, non terribilmente bollente, visto che già alle 7 c’erano quasi 30 gradi! E vabbé, andiamo avanti. Prenderò un altro bel caffè a Pavia. Oggi ho fatto molte strade provinciali per macinare più chilometri e francamente non ho idea di quante centinaia di tir mi abbiano superato. In uno c’erano anche i classici maiali ed uno, forse a causa della ciofeca di caffè, mi è sembrato che mi guardasse storto, come se gli sembrasse strano vedere un ciclostrullo sulla provinciale Mortara-Pavia. Nessun problema, amico mio, ci rivedremo alla Coop delle Grondaie fra qualche tempo. Io non avrò la bici e tu sarai un cacciatorino, forse. La strada è tutta diritta ed attraversa Garlasco ed altri paesoni. Arrivato a Pavia ovvia la foto di rito al Ponte Coperto, appena arrivato, quindi due parole con Cristiana ad Antenna Radio Esse. Poi, come minacciato dentro di me alle 7, mi sono regalato un bel caffè in Piazza Duomo. La barrista era di quelle di qualità assoluta e non volevo rovinarmi questa immagine con il solito caffè macchiato bollente. “Un caffè, per favore”. “Con latte”, mi chiede lei? “Assolutamente no”, le ho risposto e subito mi sorriso. Non credo che ha sorriso perché gli piacevo, ma forse era perché lavorava un poco meno! Per fare il macho l’ho bevuto anche amaro, così ha capito che sono un uomo tosto, almeno con il caffè! Non ho  mai capito questo strano collegamento caffè – amaro – uomo – con – le – palle, ma così è se vi pare, avrebbero detto in teatro. All’uscita mi dovevo fare la foto di  rito e credo di aver incontrato il pavese più timido che ci sia. Un sessantenne, circa, con una bici in mano mentre guardava con sguardo ascetico il Duomo. Immediatamente mi ha detto che non gli riescono le foto, che non gli erano mai riuscite. Prima di trasformarmi in Freud ed iniziare un percorso di psicanalisi al timido pavese l’ho interrotto: “Pigi solo questo tasto”, gli ho detto in modo perentorio. Ha eseguito come un soldatino e la cosa ottima e che la foto è anche riuscita benino. “E’ venuta sicuramente male”, ha detto subito, ma quando l’ha vista ha sorriso come un bambino. Eravamo diventati già grandi amici e siamo passati al tu in due minuti! Aveva fatto una foto bella! Si chiama Mario, il pavese intendo, e subito dopo avermi fatto le domande di rito, del tipo.. dove cazzo vai, ma chi te lo fa fare etc, mi voleva portare in un'altra chiesa, poi a farmi vedere un convento, che secondo lui era imperdibile. Eccoci qua, ho staccato la cialda e sono ripartito, ma prima non ha lesinato un ultima raccomandazione, il mio nuovo grande amico: “Attento alle zanzare, qua sono terribili”. Un grande! Mi passano i tir a mezzo metro, auto e moto ovunque ed il pericolo sono le zanzare! Non è che abbia torto, ma nella vita ci possono essere altre priorità. Comunque è una brava persona, Mario, ed anche simpatico. Mi ha salutato con la mano, anche se non ero stato a vedere l’altra chiesa ed il convento. Chissà, forse era una specie di Perpetua del parroco del posto. Scuramente secondo me è cresciuto traumatizzato, di quelli che la mamma, nel pieno dell’affetto da piccolo gli diceva in continuazione: “Sei sfortunato e non sai fare nulla, se ti metti a fare i cappelli nasce la gente senza testa”, un classico, magari in dialetto lombardo, immaginatelo anche senza google translator. Ce lo vedevo proprio il grande Mario, senza cappello ed a testa bassa davanti a questa reprimenda di mammina. Ma ripartiamo, direzione Orio Litta, con la provinciale ed i soliti tir che mi hanno fatto fumare tre pacchetti di Nazionali senza filtro, oltre a farmi prendere qualche paura. Credo che gli autisti a questo punto abbiano almeno tre foto, quella immancabile di Padre Pio, quella altrettanto immancabile di Belen o una di Sabina Ciuffini d’annata e da qualche giorno anche la mia, con scritto sotto “Scansatelo, è un bravo ragazzo”. Immaginavo che si parlassero anche dal baracchino: “Da Cobra ticinese a Vampiro croato, c’è uno strullo in bici, sembra di Siena, con una maglia gialla che è nella corsia d’emergenza, fate attenzione”. Difficile passare nove ore in bici, vero? Dopo il primo giorno di provinciali, per non pensare ai tir, immaginavo a cosa avrei fatto in caso di vincita al Superenalotto, quanti amici avrei fatto star bene a dovere. Le stronzate che si pensano ben sapendo che non accadranno mai, insomma. Una cosa strana che accomuna tutti questi paesotti e che fuori dal cimitero c’è sempre la pubblicità delle pompe funebri. Del tipo… sei stato ad un funerale e non ti è piaciuto? Al prossimo ci penso io, chiamami. Ovviamente mi sono “grattato a carne” a questo pensiero ed ho pensato a quanto era stato lungimirante l’impresario funebre di Siena che aveva lasciato parcheggiata la macchina (mi sembra una Panda), con la pubblicità fuori dalle stanze anatomiche alle Scotte. E’ lì che si fa business! Non fuori dai cimiteri, lì è troppo tardi, dovete essere più tempestivi. Passato Orio Litta mi sono diretto verso Piacenza. Mi ero veramente rotto le palle dei tir che mi passavano mezzo metro ed altri che mi sorpassavano  parlando al cellulare. Ho deciso di prendere la quasi ciclabile sulle rive del Po, volevo attraversare il fiume in grande stile. Nella guida c’era addirittura scritto che si poteva traversare il fiume con il barcarolo, se disponibile. Mi sono recato al piccolo molo, ma del barcarolo non c’era neppure l’ombra. Erano le 12.30 con 39 gradi e forse era con la sua barcarola a fare pranzo. Ho evitato di chiamare il numero che c’era scritto di chiamare, ma solo in caso di urgenza, tipo uno straripamento del fiume, perché di traghettare la gente mi sembra che non ne avesse molta voglia. Non c’era anima viva, neppure la barca. Mi sono consolato con qualche foto, respingendo le idee del mio amico Roberto che via sms mi invitava al guado, “Tanto il Po è in secca”, diceva. Comunque sono venute delle gran belle immagini in queste terre, una specie di “mesetas” della Francigena, il tutto proseguendo nella lunga strada a sterro che porta a San Rocco al Porto. Già dal nome si capiva che da lì si traversava alla grande, altrimenti lo avrebbero chiamato San Rocco a Pilli come noi! Ovviamente nisba, anzi la strada a sterro dopo una decina di chilometri è terminata e mi ha immesso nella solita provinciale trafficatissima, con due camionisti fermi che mi hanno guardato. Ho immaginato che uno abbia detto all’altro: “Guarda è quello di cui da tre giorni tutti parlano al baracchino!”. In poche parole ho attraversato il Po sulla tangenziale alle porte di Piacenza, con i tir e le signore al volante che parlano in fase di sorpasso al cellulare. E vabbé… In ogni caso non mi sono fatto mancare un bel birrone ed una piadina a Piacenza. Bella città, ci mancherebbe, ma hanno dei ciottoli che fanno venire il tremito con la bici. Ma non erano meglio i classici Sanpietrini!?!? I locale era sulla strada e mi sono messo nell’angolo all’ombra, rigorosamente. Dopo poco sono arrivate due ragazze, una vicina al parto. Evito di raccontarvi la loro vita che ho ascoltato per mezz’ora, dopo tutto erano a mezzo metro e cosa cazzo dovevo fare, tapparmi gli orecchi? La cosa incredibile è che una, quella prossima a diventare per la seconda volta mamma (ha già una bambina) era espertissima di siti di vacanze low cost in giro per il mondo. Secondo lei riusciva a trovarne anche con l’80% di sconto in Africa o America latina o addirittura in mete tropicali! E che palle! L’altra ascoltava tutto ed aveva la faccia simile a Magda davanti a Furio in Bianco Rosso e Verdone. Però erano amiche e si vedeva. Quando hanno iniziato a parlare dei difetti del marito, francamente mi ero già annoiato. Caffè semplice, non macchiato, e come direbbe il mio amico Fabio: “A cavallo…”, si riparte direzione Fidenza, quindi Fornovo di Taro dove stanchissimo sono arrivato alle 18.30. Ora sono nel letto a scrivere ed aveva ragione Mario, ci sono tantissime zanzare anche qua! A proposito, da Biella in poi la Francigena è tracciata benissimo. E’ difficile perdersi, a parte l’uscita dalle città. Veramente bravi, chi ci halavorato!

Ps. Perdonatemi sgrammaticature ed errori, ma scrivo, non rileggo e pigio invio. Se c'è qualche cavolata di italiano, pazienza!


Ovviamente la foto fatta a Pavia è quella fatta dal grande Mario, l’altra è il molo senza barca e senza barcarolo.

















La canzone di oggi è “Piccola città” detta “Fra la via Emilia e il west” del grande Guccini, che non poteva mancare in questo mio ricordo.

Piccola città
Di Francesco Guccini

Piccola città, bastardo posto,
appena nato ti compresi o fu il fato che in tre mesi mi spinse via;
piccola città io ti conosco,
nebbia e fumo non so darvi il profumo del ricordo che cambia in meglio,
ma sono qui nei pensieri le strade di ieri, e tornano
visi e dolori e stagioni, amori e mattoni che parlano...

Piccola città, io poi rividi
le tue pietre sconosciute, le tue case diroccate da guerra antica;
mia nemica strana sei lontana
coi peccati fra macerie e fra giochi consumati dentro al Florida:
cento finestre, un cortile, le voci, le liti e la miseria;
io, la montagna nel cuore, scoprivo l' odore del dopoguerra...

Piccola città, vetrate viola,
primi giorni della scuola, la parola ha il mesto odore di religione;
vecchie suore nere che con fede
in quelle sere avete dato a noi il senso di peccato e di espiazione:
gli occhi guardavano voi, ma sognavan gli eroi, le armi e la bilia,
correva la fantasia verso la prateria, fra la via Emilia e il West...

Sciocca adolescenza, falsa e stupida innocenza,
continenza, vuoto mito americano di terza mano,
pubertà infelice, spesso urlata a mezza voce,
a toni acuti, casti affetti denigrati, cercati invano;
se penso a un giorno o a un momento ritrovo soltanto malinconia
e tutto un incubo scuro, un periodo di buio gettato via...

Piccola città, vecchia bambina
che mi fu tanto fedele, a cui fui tanto fedele tre lunghi mesi;
angoli di strada testimoni degli erotici miei sogni,
frustrazioni e amori a vuoto mai compresi;
dove sei ora, che fai, neghi ancora o ti dai sabato sera?
Quelle di adesso disprezzi, o invidi e singhiozzi se passano davanti a te?

Piccola città, vecchi cortili,
sogni e dei primaverili, rime e fedi giovanili, bimbe ora vecchie;
piango e non rimpiango, la tua polvere, il tuo fango, le tue vite,
le tue pietre, l'oro e il marmo, le catapecchie:
così diversa sei adesso, io son sempre lo stesso, sempre diverso,
cerco le notti ed il fiasco, se muoio rinasco, finché non finirà...

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