domenica, agosto 5

Tappa finale, il ritorno a casa

Sono tornato a casa, la seconda fase del viaggio è terminata. La prima è stata quando ho iniziato a pensarlo, la successiva è stata il momento di partire, la terza, quella che verrà, sarà il momento della riflessione, per capire cosa abbia rappresentato realmente questo “navigare” dalle Alpi a Piazza del Campo sulle orme dell’antica via Francigena. Ieri è stata l’ennesima giornata particolare, piena di bianco e nero, in cui è stato vero tutto, ma anche tutto il contrario. Mi sono svegliato in campeggio di buon ora, riposto la tenda nelle borse ed uscito immediatamente, senza neppure fare colazione, prendendo il chilometrico stradone che va lungo il mare dall’inizio della Toscana fino a Pietrasanta (almeno questa è la parte che ho fatto io). 
E’ un autentica galleria di vita, un cinema a cielo aperto in cui scorre tutta l’umanità, dall’anziano con l’accompagnatore a “fare due passi con il fresco”, passando per coloro che già lavorano, dai fornitori dei bar, fino agli operatori che ritirano la spazzatura e puliscono la strada. Ovviamente c'è tanta gente che corre ed anche in questo caso è presente tutto l’arco costituzionale dell’umanità. Dal tonicissimo 25enne con la canottiera bene aderente per far vedere i muscoli, fino alle signore di mezza età che “camminano svelte”. I più coreografici sono quelli che si ostinano a portare il giubbetto di nylon a carne nonostante i 30 gradi e nonostante ogni rivista nel mondo, forse anche Famiglia Cristiana, dica, usando una metafora, che sia una bella cazzata indossarlo. “Mi trovo bene così, così ho sempre corso”, dicono fieri. Anche se arrivassero il Dottor House e l’olimpionico di maratona Baldini a dirgli che gli fa male, che perde solo acqua, andrebbe avanti per la sua strada. In verità non è che è abituato così, ma è solo uno che pensa di dimagrire in extremis, giusto un’ora prima di tornare in spiaggia, magari smaltendo la cena precedente. Immancabili centinaia di ciclisti con bici veramente bellissime. E’ uno spettacolo vedere quanti ce ne sono. E’ durata circa mezz’ora questa sfilata, interrotta solo dalla vista del porto di Carrara, con i pezzi di marmo pronti ad essere imbarcati e simbolo del lavoro e del sacrificio ed allo stesso tempo della meravigliosa anarchia dei carrarini del tempo che fu. A Pietrasanta sono uscito per fare colazione e per prendere la retta via verso quella che doveva essere la fermata di tappa prevista, ovvero San Miniato o Montaione. Salendo sui colli che osservano dall'alto la Versilia si gode uno spettacolo veramente speciale, unico, mai visto, almeno per quello che mi riguarda. Mi ha colpito la statua di Giorgio Gaber sul Montemagno, una mezza montagnetta veramente speciale, un autentico tempio della bicicletta, dove il grande cantante e poeta ha passato gli ultimi giorni del suo dolore . 
Poco dopo ho incrociato un gruppetto di simpatici ciclisti calmi, quasi tutti soprappeso, a parte uno, tutti con bici bellissime. Abbiamo parlato molto dei viaggi. In particolare un simpatico baffone mi ha chiesto informazioni sul viaggio con le borse, cosa significhi, perché si parta e così via. Al termine delle mie parole mi ha detto: “Lo immaginavo, è quello che voglio fare anche io, presto partirò, devo provare”. Da questo punto di vista, perdonatemi la presunzione, sono uno spot vivente: età non più verdissima (44 anni portati benissimo!), pancetta sempre presente (diventa panciona durante l’inverno) ed una bici normale, spaziale solo per me. E via, pedaliamo ancora. 
Era previsto che mi fermassi dopo solo una settantina di chilometri da dove mi trovavo, ma erano appena le dieci. Ho scelto dunque di fare tutti i sentierini della Francigena, anche qualcuno sterrato. Vi dico la verità, sono percorsi veramente belli. Continui saliscendi fra gli alberi, strade praticamente senza traffico, qualche strabello a sterro e così via. Devo dire che in Toscana la Francigena è tracciata benissimo, dall’inizio del Piemonte in poi è così. 
E’ stato fatto un ottimo lavoro, devo dirlo in tutta sincerità. La vista di Lucca mi ha tolto invece l’anima. Da lontano un lungo stradone pieno di auto. Meglio dunque virare verso destra e “perdermi” nelle collinette che circondano il valdarno. Credo che alla fine ho fatto circa 1500 metri di dislivello! Un continuo salire e scendere, con paesi che alle 11 erano già praticamente deserti, complice ovviamente un caldo atroce. Mi sono concesso un bel pranzetto a Fucecchio, nel bar fuori la pista dove si corre il locale palio e che adesso è la sede di quella che un tempo era la Festa dell’Unità. Due panini con il prosciutto e soprattutto una Moretti da 0,66 freddissima e meravigliosa. Visto che il bar aveva una dolce aria condizionata mi sono messo a sedere nelle sedie fuori sorseggiando con calma un caffé, giusto per riprendere confidenza con i 40 gradi del Valdarno. Ma andiamo avanti, seguendo l’itinerario francigeno, che prevedeva altre decine di saliscendi e piccoli paesi veramente belli da vedere. Mi ha colpito San Miniato Alto, che come dice il nome, è in punta ad un colle con due, tre chilometri di salita durissima. In un'erta anche la bici ha leggermente “mollato” la presa. Il deragliatore e la catena hanno smesso di essere una coppia felice e per cambiare le tre corone “davanti” dovevo farlo a mano (fino a Siena). Dovrò portare dal dottore la “Mitica”. Non è il nome della mia bici, visto che la bicicletta si chiama solo.. bicicletta, ma semplicemente il soprannome che gli ho dato in questo viaggio. Arrivare dalle parti di Montaione è stato abbastanza veloce, anche se faticoso a causa del gran caldo. Arrivato là il posto mi piaceva veramente poco, non lo sentivo “casa mia” come deve essere ogni posto dove scelgo di dormire. Scendo verso Castelfiorentino, poi Certaldo. Una tristezza infinita. Nessuno in giro, un albergo o due veramente squallidi, ostello della gioventù impraticabile, campeggio pessimo dal mio punto di vista. Mi è iniziata a balenare in testa la possibilità di tornare a Siena direttamente sabato sera. Mi sono reso conto all’improvviso che mi mancavano le persone a cui voglio bene, mi mancava la mia città, che amo in modo profondo. Le gambe erano già molto dure per il gran caldo, complici anche i colli “scalati” nel Valdarno ed i chilometri percorsi,  già circa 120. La testa girava male, ero inquieto, non sapevo cosa fare. Ad un certo punto mi sono detto di girare la bici verso Poggibonsi e provare a tornare a casa, male che vada avrei dormito là, dal mitico Alcide. Di farmi venire a prendere non se ne parlava nemmeno. Treno? Non scherziamo. A Siena dovevo arrivare in bici con le mie gambe, nulla di più, nulla di meno. Volevo e potevo farcela. 
Era necessario che la testa iniziasse ad ascoltare il cuore e soprattutto ignorasse i messaggi che arrivavano dalle gambe. Iniziava la fase in cui dovevo confrontarmi con me stesso ed i miei limiti, cercando di spostarli più avanti, alzare l'asticella di quello che posso fare. Guardo le due borracce. Quella con i sali è piena per un quarto. Devo berli fra una mezz’ora, passato Poggibonsi, affinché mi diano energie subito. Guardo la scorta del cibo e trovo due confezioni di biscotti integrali salati. Quelli devo mangiarli subito, perché se arriverò a Siena, fra tre ore, saranno la fonte di energia da Staggia in poi. Mi era rimasto anche un vasetto di miele da 30 grammi. Quello doveva essere mangiato appena uscito da Poggibonsi. 
Era fondamentale programmare le energie, lavorare con la testa, ignorare le gambe dolentissime che dovevano solo eseguire i messaggi del “cuore” e della “testa”, senza lamentarsi troppo. Fin che stavo sulla sella nessun problema, ma appena mi alzavo sui pedali sembrava quasi che decine di spilli mi trafiggessero i muscoli. Dovevo farcela a portare me stesso e 40 kg fra bici e bagagli a casa, dovevo arrivare e basta. Ho programmato di fare le telefonate di rito alle persone care, per dire loro che sarei tornato la sera stessa. Parlare con loro mi avrebbe dato energie e soprattutto avrebbe impedito alle gambe di mandare messaggi alla testa. Il passare dei chilometri è stato più forza di volontà che altro. Avevo la ferma determinazione ad arrivare. Nessun subordine, nessuno stop, nessuna mezza misura. Passano i chilometri ed il litro d’acqua bevuto prima di Poggibonsi era già evaporato in forma di sudore. Adesso c’era la fontana davanti al Bar dell’Orso a Monteriggioni. Cinque minuti per lavarmi, bagnarmi per bene il cappello, braccia e gambe, quindi ripartire. Sarebbero stati chilometri duri, ma dovevo farcela ad andare avanti. Chi va in bici sa bene che la salitella che porta alla Tognazza, quando viene fatta a fine giornata, è sempre durissima. 
Passata quella di pura rabbia ed adrenalina mi sono reso conto che ce l’avevo fatta. Niente più paura di non arrivare, magari per la fatica, problema alla bici o incidente con un auto o un camion, la mia vera grande paura di questi giorni e fonte di grandissima attenzione. Mancavano solo 300 metri al Braccio. Ho riacceso il cellulare ed ho messo un messaggio su Facebook. Era l’ultimo trucco per non fare “parlare” le gambe con il resto del corpo. Doveva comandare la mente ed il “cuore” inteso come fonte di generosità estrema. 
Alla Tognazza mi sono girato, non avevo nessuno dietro e mi sono messo a scrivere mentre pedalavo, alla rotonda del Braccio ho fatto lo stesso gesto, mi sono girato, prima di spingere “invio” sul messaggio del social network. Non avevo nessuno dietro, ero arrivato. 
Ci sarebbe stata solo discesa fino a casa e nessuna macchina mi avrebbe potuto colpire. Mi sono sentito forte ed anche un poco orgoglioso, avevo un'armatura al posto della pelle. Spero che gli insegnamenti che hanno avuto “testa e cuore” in questi giorni mi possano essere utili nella vita di tutti i giorni. 
Non si viaggia solo per vedere posti nuovi, ma per tornare persone migliori. Essere migliore con le persone a cui voglio bene, con la mia famiglia, la mia compagna, i miei amici, ma anche nel mio lavoro e nella vita di tutti i giorni. Tornando dal Cammino di Santiago, fatto da solo qualche anno fa, credo di essere cambiato. Quello che mi avrà lasciato la Francigena lo capirò fra qualche settimana. Il viaggio deve infatti “decantare”. E’ necessario il giusto tempo per metabolizzare panorami, emozioni e pensieri e capire cosa abbiano significato per me i momenti di debolezza, quelli di forza, al pari dell’allegria o tristezza. 
Arrivato in viale Bracci ho sentito il clacson di uno scooter suonare. Era Karina (la mia compagna speciale) che mi aveva visto e mi stava venendo incontro per salutarmi. Mi sono piaciuti molto gli occhi con cui mi ha guardato, più significativi di ogni parola che da lì a poco avrebbe potuto dirmi. Anche se fosse stata in silenzio nelle ore successive avrei capito perfettamente quello che ha provato a rivedermi. E’ stato bello (spero!) per lei, bellissimo per me. 
Da donna amante dei piaceri della vita in casa aveva già preparato una bellissima cena di pesce, con prosecco già in frigo. Grande! Poco dopo sono arrivati i miei genitori. Partendo non avevo detto loro dove sarei andato con precisione, né tanto meno che sarei stato da solo. Non serviva a nulla farli preoccupare. Lo hanno saputo quasi alla fine del viaggio, quando la mia amica Gaia mi ha scritto una bellissima “lettera” sul Corriere di Siena. E’ una grande e la ringrazio molto di quanto mi è stata vicina, così come il dissacrante Roberto. Non sapevo i contenuti di quello che avrebbe scritto, ma la sera parlando con i miei gli dissi quello che stavo facendo. Adesso è domenica, sono tornato a casa. Il viaggio ancora non ha iniziato a “decantare”. Ci vorrà ancora del tempo. Andiamo avanti, sempre!


















La canzone di oggi è “A Te” di Jovanotti, un grandissimo appassionato di viaggi in bici. Mi piace moltissimo ed il minimo ringraziamento per chi mi è stato vicino, per tutte le persone che mi sono mancate, per tutti coloro che hanno letto questi sgrammaticati appunti di viaggio e per la mia città, il posto più bello del mondo, come mi ha scritto il mio amico Riccardo.

A Te
di Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti

A te che sei l'unica al mondo
L'unica ragione per arrivare fino in fondo
Ad ogni mio respiro
Quando ti guardo
Dopo un giorno pieno di parole
Senza che tu mi dica niente
Tutto si fa chiaro
A te che mi hai trovato
All' angolo coi pugni chiusi
Con le mie spalle contro il muro
Pronto a difendermi
Con gli occhi bassi
Stavo in fila
Con i disillusi
Tu mi hai raccolto come un gatto
E mi hai portato con te
A te io canto una canzone
Perché non ho altro
Niente di meglio da offrirti
Di tutto quello che ho
Prendi il mio tempo
E la magia
Che con un solo salto
Ci fa volare dentro all'aria
Come bollicine
A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei giorni miei
A te che sei il mio grande amore
Ed il mio amore grande
A te che hai preso la mia vita
E ne hai fatto molto di più
A te che hai dato senso al tempo
Senza misurarlo
A te che sei il mio amore grande
Ed il mio grande amore
A te che io
Ti ho visto piangere nella mia mano
Fragile che potevo ucciderti
Stringendoti un po'
E poi ti ho visto
Con la forza di un aeroplano
Prendere in mano la tua vita
E trascinarla in salvo
A te che mi hai insegnato i sogni
E l'arte dell'avventura
A te che credi nel coraggio
E anche nella paura
A te che sei la miglior cosa
Che mi sia successa
A te che cambi tutti i giorni
E resti sempre la stessa
A te che sei
Semplicemente sei
Sostanza dei giorni miei
Sostanza dei sogni miei
A te che sei
Essenzialmente sei
Sostanza dei sogni miei
Sostanza dei giorni miei
A te che non ti piaci mai
E sei una meraviglia
Le forze della natura si concentrano in te
Che sei una roccia sei una pianta sei un uragano
Sei l'orizzonte che mi accoglie quando mi allontano
A te che sei l'unica amica
Che io posso avere
L'unico amore che vorrei
Se io non ti avessi con me
a te che hai reso la mia vita bella da morire, che riesci a render la fatica un immenso piacere,
a te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande,
a te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più,
a te che hai dato senso al tempo senza misurarlo,
a te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore,
a te che sei, semplicemente sei, sostanza dei giorni miei, sostanza dei sogni miei...
e a te che sei, semplicemente sei, compagna dei giorni miei...sostanza dei sogni...

venerdì, agosto 3

Tappa 5 - Dalla Cisa alla costa con incontri bellissimi

E anche la Cisa è passata, adesso rimane solo una parte di Toscana da fare. Non è poco, visto che come direbbe il mio amico Stefano, la nostra regione è lunga, larga e anche al di là del mare. Oggi sono arrivato in Versilia, con una piccola deviazione da Sarzana per arrivare a toccare il mare a Marina di Carrara. Adesso sono dentro la tendina in campeggio, pc sulle gambe assieme ai 118 km percorsi in qualcosa in più di otto ore pedalate oggi con un bel dislivello nel mezzo. E’ stata proprio una bella traversata, che mi ha consentito di vedere posti nuovi e di conoscere persone molto belle. Ho iniziato con un piccolo guasto tecnico a Fornovo. Mentre provavo la bici (cosa da fare sempre prima di partire), mi è uscita la catena e si è incastrata nel deragliatore della moltiplica. Che bellezza! Cinque minuti e le mani nere come quelle del Rosso dei Pispini (bravissimo meccanico) e sono stato in grado di ripartire. Una donnina mi ha guardato senza dire parola. Avrà avuto più di ottanta anni e sarebbe stato fenomenale se mi avesse chiesto: “Serve una mano?”, la mia autostima sarebbe calata sotto zero. Non ho capito cosa facesse, senza fare nulla, su una panchina a Fornovo di Taro la mattina alle sette. Mah, forse prendeva il fresco, sicuramente faceva un bel pacco di cavoli suoi!  La bici è ok, dunque ripartiamo. Le pendici dell’Appennino sono veramente belle di buon ora. Unico difetto il “profumo” di maiali che arriva fin quassù. Forse sarà stata la vendetta del post di ieri, palesemente anti maiali padani, ma per almeno due ore il loro olezzo mi ha seguito. Solo a quel punto (erano finiti i campi ed iniziavano i castagni) ho capito che non era una specie di maledizione di Montezzuma a perseguitarmi, ma bensì era il loro letame usato come concime. Grande Lello, ci sono volute due ore per capirlo. Potevo fare meglio, forse. La strada che porta alla Cisa da Fornovo (passando per le strade francigene) è circa 40 km, quasi tutti in dolce salita con qualche piccola discesa giusto per spulire le gambe. Il primo incontro molto bello è stato con una coppia sulla settantina. Erano due camminatori sulla Francigena ed in salita (molto ripida), andavano quanto me in bici (vi ricordo che non sono atleta ma impiegato buzzicone). Al termine è stato inevitabile conoscersi, direi con piacere. Si chiamano Paolo e Carla ed hanno insegnato fino a qualche anno fa all’Università di Bologna. Da qualche tempo hanno deciso di girare tutte le estati a piedi per l’Europa, mentre d’inverno si limitano a fare i nonni arzilli con i nipoti. Hanno camminato verso Santiago ed anche sul Cammino del Nord, sempre in Spagna, poi i fari della Francia e le coste inglesi. Abbiamo parlato quasi mezz’ora, complice anche una fontanina naturale di acqua freschissima, che alle 10 con più di 30 gradi fa sempre piacere. Arrivato al paesino di Cassio ho trovato un gruppo di Borgomanero che faceva la Francigena in bici. Hanno il pulmino al seguito ed arriveranno a Siena martedì, hanno detto. Non avendo le borse, hanno provato al alzare la mia bici... per vedere l’effetto che fa (Jannacci cit.), ma i 40 kg della “creatura” si spostano male! Mi hanno chiesto quanto ero “atleta serio”. La risposta è stata ovvia: “Fin quando non arrivo a tavola sono perfetto!”. Ci siamo fatti una bella risata e quindi abbiamo parlato di basket, visto che un paio di loro erano grandi appassionati. La pallacanestro mi porterebbe via giornate intere di parole, meglio ripartire, al Passo della Cisa c’era ancora due ore di pedalata. Al passo sono arrivati anche loro, proprio mentre stavo mangiando un panino con il prosciutto. Loro hanno preferito la polenta! E bravi!. Al passo ho conosciuto una persona fantastica. Era con la moglie e la figlia. Si chiama Pierre ed è francese, pur parlando benissimo l’italiano. Gli ho chiesto di farmi una foto e da lì è partita la nostra piccola amicizia di più di mezz’ora. Pierre è un imprenditore edile, che per sua fortuna non sta sentendo la crisi. Vive a Parigi ed ha rilevato l’azienda da suo padre, morto proprio in un cantiere, per un errore di un suo collaboratore, che peraltro lavora ancora con Pierre. Le sue mani erano quelle di chi sta poco in ufficio e molto in cantiere. “Mio padre mi ha sempre detto che non avrei mai potuto dirigere l’azienda se prima non fossi stato un bravo muratore”, ha sottolineato Pierre. Adesso stava girando l’Italia in modo lento. Passerà anche lui da Siena, ma non sapeva quando. Forse prenderemo un caffè insieme. Per lui era importante conoscere le persone, oltre ai monumenti, condividere anche la cultura della sua moglie, italiana di Roma. In questi casi il tempo è sempre tiranno e presto sono dovuto ripartire verso la valle. Dopo circa 300 metri sono tornato indietro. Volevo andare a vedere la piccola chiesetta sul passo, sentivo che dovevo farlo. C’era da vedere la maglia rosa di Adorni del 1965. Entrato dentro mi hanno però colpito altre due piccole cose. Per prima la foto di Papa Wojtila, un uomo (un Santo per i credenti), venerato ovunque nel mondo, poi un piccolo biglietto lasciato da una mamma, che chiedeva salute per suo figlio. Era veramente toccante nella sua semplicità. Ma torniamo alla discesa dalla Cisa. I panorami sono veramente belli, anche se gli altissimi alberi li nascondono molto bene. In discesa mi ha chiamato il mio amico Sandro, che aveva letto questi nostri racconti. Mi ha fatto piacere sentirlo. Adesso come detto sono a Marina di Carrara. Per non entrare nelle grinfie degli albergatori mi sono fermato in campeggio con la tenda, ma sorpresona… ben 32 euri per la semplice piazzola! Poi dice che c’è la crisi… Per forza! Ancora arrabbiato per il salasso sono andato a farmi la doccia, dopo aver montato la tenda, non senza difficoltà. Al primo “rocchio” l’acqua era tiepida e mi sono insaponato alla grande. Al momento di sciacquarmi l’acqua era sempre più fredda e non c’era neppure la regolazione. Avevo scelto da doccia fredda! Per cinque minuti di risciacqui ho patito un freddo cane. L’unica consolazione era maledire quel brutto ceffo che era alla reception, che alla domanda: “32 Euroni? Ma no le sembra un poco troppo?”, la risposta è stata disarmante: “Noi facciamo così, prendere o lasciare”. E bravo il reuccio del campeggio! Non ci rivedremo più, sicuro! Ora sono dentro la mia tenda da bici, nel senso che piegata la posso portare sopra le borse sul portapacchi. Mi sono fatto alcune grandi certezze passeggiando per il camping. Gli italiani non sono un popolo di santi e di navigatori ma di ingegneri campeggiatori! L’unica tenda con qualche piega nel telo e la mia. Le altre sembrano perfette, addirittura sembrano dei mini appartamenti! Frequento i campeggi solo in caso di necessità, ma veramente ti fanno uscire complessato dalla passeggiata pre cena! Nel frattempo ho comperato due etti di prosciutto, ciaccino, pane ed un birrone e prima che si freddi e bene che inizi il fiero pasto. Per dolce avrò una specie di vasetto di Ovomaltina, quelli tipo la Nutella o le marmellatine degli alberghi. Lo avevo cortesemente fregato in Svizzera, senza commettere reato, visto che era una colazione a buffet. Mangiare dopo tre giorni la refurtiva svizzera è una specie di rivincita sociale, tipo Nino Manfredi in “Caffè express” quando segna l’Italia ed esulta nel bar svizzero. Peraltro di Ovomaltina tascabili ne avevo fregate due e la prima era sublime! Domani vorrei arrivare vicino a Siena, ad una settantina, ottanta chilometri per poter essere a pranzo nella mia citta. Mi manca la mia famiglia, la mia nipote Costanza (mi deve raccontare del nuovo skateboard) ed ovviamente la mia compagna Karina, oltre a tutti i miei amici. Chissà come staranno le piante di pomodori? Saranno maturi? E Michelle, il quadrupede di Karina, avrà sofferto tanto il caldo? Ecco questa è una delle domande a cui vorrei presto avere una risposta. Un abbraccio a tutti!

Ps. Come sempre non rileggo nulla, perdonatemi gli errori!

Le foto di oggi sono Lellone alla Cisa e Lellone con il gruppone di Borgomanero.
































La canzone di oggi è "Immgine” di John Lennon. L’ho canticchiata spesso oggi.


Imagine

Imagine there's no heaven
It's easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today...
Imagine there's no countries
It isn't hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace...
You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will be as one
Imagine no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world...
You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will live as one
Immagina
Immagina non ci sia il Paradiso
prova, è facile
Nessun inferno sotto i piedi
Sopra di noi solo il Cielo
Immagina che la gente
viva al presente...
Immagina non ci siano paesi
non è difficile
Niente per cui uccidere e morire
e nessuna religione
Immagina che tutti
vivano la loro vita in pace...
Puoi dire che sono un sognatore
ma non sono il solo
Spero che ti unirai anche tu un giorno
e che il mondo diventi uno
Immagina un mondo senza possessi
mi chiedo se ci riesci
senza necessità di avidità o fame
La fratellanza tra gli uomini
Immagina tutta le gente
condividere il mondo intero...
Puoi dire che sono un sognatore
ma non sono il solo
Spero che ti unirai anche tu un giorno
e che il mondo diventi uno.



giovedì, agosto 2

Tappa 4 - La foto di Mario ed il barcarolo che non c'è

Oggi seconda mega scorpacciata di chilometri, giusto per arrivare sotto la Cisa: da Mortara a Fornovo di Taro, 166 km in quasi nove ore sui pedali, più le soste, con un caldo infernale e le forze arrivate veramente alla fine. Si fanno sentire le borse e la bici, quasi 35-40 chili da portare da Losanna a Siena, oltre ai 95 chili miei, s’intende. Domani mi attende la Cisa e dovrà essere un venerdì da leone, visto che la salita è impegnativa: oltre 40 km per arrivare al passo. Speriamo bene… Ma veniamo ad oggi, altrimenti mi intristisco anche io! Tanto per iniziare, partenza di buon ora. Già poco dopo le 7 ho lasciato Mortara, che ad iniziare dal nome ha veramente poche cose belle per cui starci dieci minuti in più. Colazione con le paste (ex) surgelate ed il solito caffè macchiato bollente che rovina la giornata sul nascere. Ma proprio non sono capaci a farlo semplicemente caldo, non terribilmente bollente, visto che già alle 7 c’erano quasi 30 gradi! E vabbé, andiamo avanti. Prenderò un altro bel caffè a Pavia. Oggi ho fatto molte strade provinciali per macinare più chilometri e francamente non ho idea di quante centinaia di tir mi abbiano superato. In uno c’erano anche i classici maiali ed uno, forse a causa della ciofeca di caffè, mi è sembrato che mi guardasse storto, come se gli sembrasse strano vedere un ciclostrullo sulla provinciale Mortara-Pavia. Nessun problema, amico mio, ci rivedremo alla Coop delle Grondaie fra qualche tempo. Io non avrò la bici e tu sarai un cacciatorino, forse. La strada è tutta diritta ed attraversa Garlasco ed altri paesoni. Arrivato a Pavia ovvia la foto di rito al Ponte Coperto, appena arrivato, quindi due parole con Cristiana ad Antenna Radio Esse. Poi, come minacciato dentro di me alle 7, mi sono regalato un bel caffè in Piazza Duomo. La barrista era di quelle di qualità assoluta e non volevo rovinarmi questa immagine con il solito caffè macchiato bollente. “Un caffè, per favore”. “Con latte”, mi chiede lei? “Assolutamente no”, le ho risposto e subito mi sorriso. Non credo che ha sorriso perché gli piacevo, ma forse era perché lavorava un poco meno! Per fare il macho l’ho bevuto anche amaro, così ha capito che sono un uomo tosto, almeno con il caffè! Non ho  mai capito questo strano collegamento caffè – amaro – uomo – con – le – palle, ma così è se vi pare, avrebbero detto in teatro. All’uscita mi dovevo fare la foto di  rito e credo di aver incontrato il pavese più timido che ci sia. Un sessantenne, circa, con una bici in mano mentre guardava con sguardo ascetico il Duomo. Immediatamente mi ha detto che non gli riescono le foto, che non gli erano mai riuscite. Prima di trasformarmi in Freud ed iniziare un percorso di psicanalisi al timido pavese l’ho interrotto: “Pigi solo questo tasto”, gli ho detto in modo perentorio. Ha eseguito come un soldatino e la cosa ottima e che la foto è anche riuscita benino. “E’ venuta sicuramente male”, ha detto subito, ma quando l’ha vista ha sorriso come un bambino. Eravamo diventati già grandi amici e siamo passati al tu in due minuti! Aveva fatto una foto bella! Si chiama Mario, il pavese intendo, e subito dopo avermi fatto le domande di rito, del tipo.. dove cazzo vai, ma chi te lo fa fare etc, mi voleva portare in un'altra chiesa, poi a farmi vedere un convento, che secondo lui era imperdibile. Eccoci qua, ho staccato la cialda e sono ripartito, ma prima non ha lesinato un ultima raccomandazione, il mio nuovo grande amico: “Attento alle zanzare, qua sono terribili”. Un grande! Mi passano i tir a mezzo metro, auto e moto ovunque ed il pericolo sono le zanzare! Non è che abbia torto, ma nella vita ci possono essere altre priorità. Comunque è una brava persona, Mario, ed anche simpatico. Mi ha salutato con la mano, anche se non ero stato a vedere l’altra chiesa ed il convento. Chissà, forse era una specie di Perpetua del parroco del posto. Scuramente secondo me è cresciuto traumatizzato, di quelli che la mamma, nel pieno dell’affetto da piccolo gli diceva in continuazione: “Sei sfortunato e non sai fare nulla, se ti metti a fare i cappelli nasce la gente senza testa”, un classico, magari in dialetto lombardo, immaginatelo anche senza google translator. Ce lo vedevo proprio il grande Mario, senza cappello ed a testa bassa davanti a questa reprimenda di mammina. Ma ripartiamo, direzione Orio Litta, con la provinciale ed i soliti tir che mi hanno fatto fumare tre pacchetti di Nazionali senza filtro, oltre a farmi prendere qualche paura. Credo che gli autisti a questo punto abbiano almeno tre foto, quella immancabile di Padre Pio, quella altrettanto immancabile di Belen o una di Sabina Ciuffini d’annata e da qualche giorno anche la mia, con scritto sotto “Scansatelo, è un bravo ragazzo”. Immaginavo che si parlassero anche dal baracchino: “Da Cobra ticinese a Vampiro croato, c’è uno strullo in bici, sembra di Siena, con una maglia gialla che è nella corsia d’emergenza, fate attenzione”. Difficile passare nove ore in bici, vero? Dopo il primo giorno di provinciali, per non pensare ai tir, immaginavo a cosa avrei fatto in caso di vincita al Superenalotto, quanti amici avrei fatto star bene a dovere. Le stronzate che si pensano ben sapendo che non accadranno mai, insomma. Una cosa strana che accomuna tutti questi paesotti e che fuori dal cimitero c’è sempre la pubblicità delle pompe funebri. Del tipo… sei stato ad un funerale e non ti è piaciuto? Al prossimo ci penso io, chiamami. Ovviamente mi sono “grattato a carne” a questo pensiero ed ho pensato a quanto era stato lungimirante l’impresario funebre di Siena che aveva lasciato parcheggiata la macchina (mi sembra una Panda), con la pubblicità fuori dalle stanze anatomiche alle Scotte. E’ lì che si fa business! Non fuori dai cimiteri, lì è troppo tardi, dovete essere più tempestivi. Passato Orio Litta mi sono diretto verso Piacenza. Mi ero veramente rotto le palle dei tir che mi passavano mezzo metro ed altri che mi sorpassavano  parlando al cellulare. Ho deciso di prendere la quasi ciclabile sulle rive del Po, volevo attraversare il fiume in grande stile. Nella guida c’era addirittura scritto che si poteva traversare il fiume con il barcarolo, se disponibile. Mi sono recato al piccolo molo, ma del barcarolo non c’era neppure l’ombra. Erano le 12.30 con 39 gradi e forse era con la sua barcarola a fare pranzo. Ho evitato di chiamare il numero che c’era scritto di chiamare, ma solo in caso di urgenza, tipo uno straripamento del fiume, perché di traghettare la gente mi sembra che non ne avesse molta voglia. Non c’era anima viva, neppure la barca. Mi sono consolato con qualche foto, respingendo le idee del mio amico Roberto che via sms mi invitava al guado, “Tanto il Po è in secca”, diceva. Comunque sono venute delle gran belle immagini in queste terre, una specie di “mesetas” della Francigena, il tutto proseguendo nella lunga strada a sterro che porta a San Rocco al Porto. Già dal nome si capiva che da lì si traversava alla grande, altrimenti lo avrebbero chiamato San Rocco a Pilli come noi! Ovviamente nisba, anzi la strada a sterro dopo una decina di chilometri è terminata e mi ha immesso nella solita provinciale trafficatissima, con due camionisti fermi che mi hanno guardato. Ho immaginato che uno abbia detto all’altro: “Guarda è quello di cui da tre giorni tutti parlano al baracchino!”. In poche parole ho attraversato il Po sulla tangenziale alle porte di Piacenza, con i tir e le signore al volante che parlano in fase di sorpasso al cellulare. E vabbé… In ogni caso non mi sono fatto mancare un bel birrone ed una piadina a Piacenza. Bella città, ci mancherebbe, ma hanno dei ciottoli che fanno venire il tremito con la bici. Ma non erano meglio i classici Sanpietrini!?!? I locale era sulla strada e mi sono messo nell’angolo all’ombra, rigorosamente. Dopo poco sono arrivate due ragazze, una vicina al parto. Evito di raccontarvi la loro vita che ho ascoltato per mezz’ora, dopo tutto erano a mezzo metro e cosa cazzo dovevo fare, tapparmi gli orecchi? La cosa incredibile è che una, quella prossima a diventare per la seconda volta mamma (ha già una bambina) era espertissima di siti di vacanze low cost in giro per il mondo. Secondo lei riusciva a trovarne anche con l’80% di sconto in Africa o America latina o addirittura in mete tropicali! E che palle! L’altra ascoltava tutto ed aveva la faccia simile a Magda davanti a Furio in Bianco Rosso e Verdone. Però erano amiche e si vedeva. Quando hanno iniziato a parlare dei difetti del marito, francamente mi ero già annoiato. Caffè semplice, non macchiato, e come direbbe il mio amico Fabio: “A cavallo…”, si riparte direzione Fidenza, quindi Fornovo di Taro dove stanchissimo sono arrivato alle 18.30. Ora sono nel letto a scrivere ed aveva ragione Mario, ci sono tantissime zanzare anche qua! A proposito, da Biella in poi la Francigena è tracciata benissimo. E’ difficile perdersi, a parte l’uscita dalle città. Veramente bravi, chi ci halavorato!

Ps. Perdonatemi sgrammaticature ed errori, ma scrivo, non rileggo e pigio invio. Se c'è qualche cavolata di italiano, pazienza!


Ovviamente la foto fatta a Pavia è quella fatta dal grande Mario, l’altra è il molo senza barca e senza barcarolo.

















La canzone di oggi è “Piccola città” detta “Fra la via Emilia e il west” del grande Guccini, che non poteva mancare in questo mio ricordo.

Piccola città
Di Francesco Guccini

Piccola città, bastardo posto,
appena nato ti compresi o fu il fato che in tre mesi mi spinse via;
piccola città io ti conosco,
nebbia e fumo non so darvi il profumo del ricordo che cambia in meglio,
ma sono qui nei pensieri le strade di ieri, e tornano
visi e dolori e stagioni, amori e mattoni che parlano...

Piccola città, io poi rividi
le tue pietre sconosciute, le tue case diroccate da guerra antica;
mia nemica strana sei lontana
coi peccati fra macerie e fra giochi consumati dentro al Florida:
cento finestre, un cortile, le voci, le liti e la miseria;
io, la montagna nel cuore, scoprivo l' odore del dopoguerra...

Piccola città, vetrate viola,
primi giorni della scuola, la parola ha il mesto odore di religione;
vecchie suore nere che con fede
in quelle sere avete dato a noi il senso di peccato e di espiazione:
gli occhi guardavano voi, ma sognavan gli eroi, le armi e la bilia,
correva la fantasia verso la prateria, fra la via Emilia e il West...

Sciocca adolescenza, falsa e stupida innocenza,
continenza, vuoto mito americano di terza mano,
pubertà infelice, spesso urlata a mezza voce,
a toni acuti, casti affetti denigrati, cercati invano;
se penso a un giorno o a un momento ritrovo soltanto malinconia
e tutto un incubo scuro, un periodo di buio gettato via...

Piccola città, vecchia bambina
che mi fu tanto fedele, a cui fui tanto fedele tre lunghi mesi;
angoli di strada testimoni degli erotici miei sogni,
frustrazioni e amori a vuoto mai compresi;
dove sei ora, che fai, neghi ancora o ti dai sabato sera?
Quelle di adesso disprezzi, o invidi e singhiozzi se passano davanti a te?

Piccola città, vecchi cortili,
sogni e dei primaverili, rime e fedi giovanili, bimbe ora vecchie;
piango e non rimpiango, la tua polvere, il tuo fango, le tue vite,
le tue pietre, l'oro e il marmo, le catapecchie:
così diversa sei adesso, io son sempre lo stesso, sempre diverso,
cerco le notti ed il fiasco, se muoio rinasco, finché non finirà...

mercoledì, agosto 1

Tappa 3 - Tre regioni, tre panorami, tre popoli


Oggi ho pedalato  il primo dei due tapponi di tanti chilometri  necessari per arrivare in tempo a Siena con la conclusione delle ferie. Da Aosta a Mortara, quasi 156 km con tre regioni toccate: Valle d’Aosta, Piemonte e Lombardia, tre popoli diversi fra di loro, tre panorami completamente agli antipodi. E’ questo il bello del viaggio. Per fortuna non ci sono state salite da affrontare e tutto sommato sono arrivato stanco ma moderatamente vivo. Prima notizia, dall'ingresso in Piemonte, provincia di Biella, sono moltissimi i cartelli della Francigena che si incontrano. La giornata era iniziata alla grande con tre paste tre mangiate ad Aosta. E’ uno degli aspetti magici della bici: puoi mangiare quanto vuoi senza rimorsi. Particolarmente buone le due con pezzetti di mela dentro, ma anche quella alla crema era tutt’altro che da buttare. Nota meno lieta il caffè macchiato, di fatto un cappuccino bollente e quasi imbevibile. E vabbé, non si può avere tutto, anche perché la ragazza del bar era di “qualità” ed una ciofeca di caffè gli si può perdonare... A seguire ho fatto una rapida visita ad Aosta e francamente mi ha sorpreso per la sua bellezza, fatta di tanti ruderi romani. In particolare la grande porta è da vedere alla grande. Ma andiamo avanti. Per trovare la ciclabile lungo la Dora Baltea (nella foto) mi ci è voluto un poco di tempo, anche perché nel frattempo mi aveva chiamato Alessandro Pagliai di Antenna Radio Esse e mi ero un poco distratto. Poco male, però. La strada è francamente molto bella e per una decina di chilometri si snoda per la valle che porta a St. Vincent, quindi a Ivrea. A quel punto mi sono scontrato contro la talebana che ha esteso la guida che seguo. Per  non farti fare dieci metri di una provinciale poco trafficata ti fa andare su strade a sterro, campi quasi infangati anche in tempo  di siccità (qui annaffiano sempre) e così via. Bene che vada ti becchi zanzare o altri insetti che gozzovigliano e ingrassano sulla schiena delle tante mucche. Male che vada ti ritrovi faccia a faccia con qualcuno dei tori che in Val d’Aosta abbondano, manco si fosse in Andalusia. La peggior cosa è che ti becchi il contadino, fresco di colazione con lardo e vino, sicuro che gli volevi fregare le albicocche oramai mature. Sicuramente si rischia di prendere viottoli che ti sfasciano mezza bici e rimanere a piedi in un colle sulla Dora Baltea non è proprio il modo più bello di iniziare la giornata. Si deve sempre leggere in modo critico le guide, ha ragione il mio amico Fabio, che ne ha scritte delle ottime. Sono come i gps per auto: non hanno sempre ragione solo perché noi siamo uomini fallaci e lui un gps perfetto. Pian pianino sono arrivato a St. Vincent, la Montecatini del nord, con in più il Casinò, che notoriamente è una bella calamita di… un po’ di tutto, diciamo così. Sono passato abbastanza presto e di allegre pulzelle in giro c’erano poche, diciamo nessuna. Tranquilli, la prostata pressata da tre giorni di bici mi rende come il bambolotto Ciccio Bello: piatto. Non mancavano però gli anziani a fare due passi “con il fresco”. Un caffè me lo sono concesso in un bar vip. Un euro speso alla grande, visto che era decisamente buono. Pian pianino i monti sono diventati dolci colli, appena entrato in Piemonte. Mi è tornata alla mente la descrizione dei campanili fatta da Padre Enzo Bianchi della comunità di Bose nel suo libro “Il pane di ieri”. Me lo avevano regalato Ines e  Roberto nel Natale 2008 e l’ho riletto poche settimane fa. Per il sacerdote i tanti campanili dei fondo valle piemontesi erano magici, negli anni cinquanta, un mezzo di comunicazione perfetto. Se le campane suonavano la notte significava che c’era un allarme meteo di qualche tipo. I rintocchi durante il giorno, a festa o a lutto, sintetizzavano il procedere delle cose belle e dei lutti della vita. Oggi nessun sms, Facebook o Twitter riuscirebbe a comunicare altrettanto bene, in tempo reale ed a tutti, al netto di chi ha il sonno pesantissimo, ma in quel caso neppure il bip dell’sms lo avrebbe tolto dalle poderose (per lui) braccia di Morfeo. Ho osservato molto i campanili, così come il meraviglioso castello di Bard, ultimo baluardo, maestoso, nel punto più alto della valle che porta in fondo, dopo qualche decina di chilometri, alla pianura. E’ stato questo il terzo panorama di oggi. Prima grano turco, tanto, poi le risaie del vercellese, veramente tantissime. Prima un pranzo veloce in un bar lungo la strada. Mi piaceva il nome “Io e te” e mai scelta fu migliore. Ovviamente ci ho passato quasi un’ora, con una bella chiacchierata chilometrica con i due proprietari, una coppia sulla sessantina. Lei aveva dei lineamenti bellissimi che lasciavano capire che qualche decina di anni fa doveva essere un fenomeno di bellezza. Adesso gestisce con il cuore il piccolo bar con ristorazione di qualità insieme al marito, ma soprattutto pensa ai nipoti. La figlia aveva preso un colpo di sole e prima di andare via mi ha chiesto come poterli prevenire. Mi sopravvalutava forse, ma risposta è stata perfetta: “Le dica di stare più all’ombra!”. Mi sono sentito molto medico di campagna! Lui è stato in Svizzera a lavorare per 25 anni e mi ha chiesto che idea mi ero fatto dello stato bianco e rosso. Da lì a parlare dell’Italia c’è voluto due minuti. Era arrabbiatissimo. Ha avuto un’espressione diversa quando ha parlato dell’Olivetti che adesso non c’è più, della Fiat che nessuno sa cosa farà in futuro, dell’economia che sta crollando. Era deluso, soprattutto per il futuro della figlia ed i nipoti. Uno era in bottega e melo ha presentato. Ovviamente di tutto questo non importa nulla a nessuno. Avete ragione, passo oltre. Due le cose che mi hanno colpito nei chilometri successivi. La prima non poteva che essere il grande monumento a Palestro, a memoria imperitura della battaglia, tanto sanguinosa, quanto importante per l’Italia. L’altra cosa speciale è stata una fontanina di acqua freschissima trovata casualmente in messo alle risaie, con annesso un vecchio ospedale piccolissimo, una chiesa ed una grotta con immagini sacre. Secondo me doveva essere una sorgente naturale, visto che l’acqua scorreva abbondante e senza rubinetto. C’era vicino un signore, che appena mi ha visto ha subito detto: “E’ buona, bevi, ne hai bisogno”. Era veramente fresca e buona e ne ho approfittato anche per una specie di doccia! Ha riso ed è andato via, questo signore, ma non si è minimamente scossa la folta comunità d gatti che vive vicino alla fontanella. Adesso è già tardi e ripensandoci niente è degno di citazione fino a Mortara. Ah, ho visto anche il cartello dell’azienda del Riso Gallo! E sticazzi! Andiamo a letto, è meglio, domani vorrei arrivare a Fidenza, fatica permettendo.
















La canzone di oggi è "Blowing in the wind" di Bob Dylan. Sono stato sette ore sui pedali oggi ed ho pensato molto.

Blowing in the wind
Bob Dylan
“How many roads must a man walk down
before you can call him a man
yes ‘n how many seas must a white dove sail
before she sleeps in the sand
yes and how many times must the cannonballs fly
before they’re forever banned
the answer my friend is blowing in the wind
the answer is blowing in the wind
yes and how many years can a mountain exist
before it is washed to the sea
yes and how many years can some people exist
before they’re allowed to be free
yes and how many times can a man turn his head
and pretend that he just doesn’t see
the answer my friend is blowing in the wind
the answer is blowing in the wind
yes and how many times must a man look up
before he can see the sky
yes and how many ears must one man have
before he can hear people cry
yes and how many deaths will it take till he knows
that too many people have died
the answer my friend is blowing in the wind
the answer is blowing in the wind”.
Traduzione.
“Soffia nel vento
Quante strade deve percorrere un uomo
prima di poterlo chiamare un uomo
e quanti mari deve navigare una bianca colomba
prima di dormire sulla sabbia
e quante volte debbono volare le palle di cannone
prima di essere proibite per sempre
la risposta amico soffia nel vento
la risposta soffia nel vento
e quanti anni può una montagna esistere
prima di essere spazzata verso il mare
e quanti anni possono gli uomini esistere
prima di essere lasciati liberi
e quante volte può un uomo volgere il capo
e fare finta di non vedere
la risposta amico soffia nel vento
la risposta soffia nel vento
e quante volte deve un uomo guardare in alto
prima di poter vedere il cielo
e quanti orecchi deve un uomo avere
prima di poter sentire gli altri che piangono
e quante morti ci vorranno prima che lui sappia
che troppi sono morti
la risposta amico soffia nel vento
la risposta soffia nel vento”.