Alle volte penso quale sia stato il momento più bello in
bici, il ricordo più significativo del mio infinito "cercare la bellezza", l'emozione speciale. Molte immagini passano per
la mente. Ci pensavo stamani, mentre pedalavo verso Gaiole. Non sono un
ciclista di quelli che viaggiano a testa bassa, con uno sguardo alla media e l’altro
al tempo finale da fare. Sono un appassionato del sabato e della domenica, alle
volte anche del martedì o del mercoledì. Non a caso ho sempre una fiera
pancetta che testimonia la mia assoluta passione per i piaceri della vita,
quelli profani della tavola intendo. Da una vita sono a dieta, o quasi, ma non
sono mai riuscito a perderla. Ma torniamo alla storia di oggi, al momento speciale in bici. Questi attimi, ore o minuti, non si possono mai separare dal
contesto o dalla compagnia del momento. Tutto è essenziale affinché l’emozione
si cementifichi nella mente. Era una delle caldissime giornate marocchine della
seconda metà dell’agosto 2010. Eravamo arrivati in sei (sei siamo tornati,
premetto) per fare il tragitto da Fez a Marrakech, attraverso il glorioso monte
Atlante. Quel giorno tre compagni di viaggio preferirono tagliare in taxi
il tragitto. Per Fabio, Riccardo e me era inaccettabile non pedalare verso il
passo di “Col du Tichka” ovvero il passo vicino la vetta del monte Atlante. Volevamo accorciare
gli 80 km di salita verso questo colle speciale e lasciammo Ouarzazate nel
tardo pomeriggio nonostante le nuvole fossero terribilmente nere sopra di noi.
D’improvviso tutto si fece buio ed iniziò a cadere la pioggia più fitta e forte
che mai abbia visto in vita mia. Eravamo ai bordi del deserto sull’unica strada
asfaltata presente nella zona, ma nessun mezzo passava in mezzo a quella
tormenta che ci impediva di pedalare, tanto era violenta. Dai 50 gradi
del giorno si era forse arrivati a 15 e quasi tutto sembrava
diventare impossibile. Ci fermammo vicino ad una palma, l’unico posto dove
poter sostare, visto che era impossibile andare avanti in mezzo alla natura che si stava sfogando. E’
proprio nei momenti in cui tutto sembra perso che inizia la ripresa. Quando il nero è veramente nero appare d’improvviso il bianco. E' questa la vita, sempre. Quella volta il
bianco era rappresentato da un camion vuoto. Sembrava impossibile, ma era
proprio così, con tanto di cassone in ferro coperto. Il popolo marocchino è
gentile ed accogliente nelle campagne, ospitale e generoso. Ci fecero salire,
ridendo fra di loro, mentre in francese provavamo a chiedere informazioni, tipo
Totò e Peppino a Milano, visto che appena sapevamo in che zona ci eravamo
fermati. Riccardo davanti con i due amici marocchini, io e Fabio dietro, al
buio nel cassone. Dieci minuti e la tormenta finì. Eravamo arrivati ad Ait Ben
Haddou, un posto famoso all’estero per delle rovine che si trovano a poca
distanza, ma delle quali la gente del posto quasi ignora la presenza. Hanno altre priorità ogni giorno, tipo sopravvivere, detto in sintesi. Ci
fermammo nell’unico hotel-ristorante-bar del posto. Le Carrefour si chiamava e si chiama. Il
proprietario è una persona fantastica. Una vita passata dentro l’aeroporto di
Parigi (credo di ricordare) a fare il cuoco. Tutto per mettere da parte i soldi necessari a comprare una piccola attività nel suo
piccolo paese, Ait Ben Haddou appunto. Seguì una fantastica cena marocchina,
fatta con il cuore, lo stesso immenso di questo popolo bellissimo (le persone aggressive che si incontano nei souk Marrakech o Fez sono l’opposto esatto). La mattina fummo svegliati dal muezzin,
che alle 4 o alle 5 iniziò la preghiera. Il megafono della moschea sembrava fosse in camera, tanto era forte. All'ennesimo proclama"Allah akbar" decidemmo di alzarci e partire. Ci aspettava l’Atlante
e 80 chilometri di salita. Partimmo che ancora era buio pesto, illuminati
giusto dalla penombra della luna. Alla nostra destra c’era l’oriente. D’improvviso
apparvero i raggi di sole dietro al colle che fino a qualche minuto prima li
aveva tenuti gelosamente nascosti. Erano i raggi di sole più belli che avessi
mai visto, quasi un miracolo. Ci fermammo quasi all’unisono, tutti colpiti da
questi raggi speciali, di un colore mai visto, fra rosso ed arancione, bellissimi.
Sembravano delle spade che sconfiggevano le tenebre e che mi hanno trafitto il
cuore. La foto rende poco l’idea della bellezza e dell’emozione che hanno lasciato
in me. Adesso quest’immagine è sopra il mio letto e mi ricorda ogni volta che
entro in camera il miracolo della vita che arriva, del giorno che nasce e comunque rinasce anche dopo i momenti più neri. Durò
pochi minuti questo fenomeno, lasciando spazio alla luce vera e propria, che trasformò l’aracione-rosso del cielo in uno splendido azzurro. Ad ogni
strada che afferiva sulla nostra d’improvviso apparvero tanti bambini e donne
con contenitori pieni di latte. Erano le mogli ed i figli dei pastori, che attendevano che passasse il camion che raccoglieva il latte delle loro pecore o capre. Dopo la pioggia, le
tenebre, era tornata la vita, annunciata da un sole e da una luce speciale. E’
stato questo uno dei momenti più belli in bici, che arrivò dopo una
grandissima difficoltà e prima di un’emozione unica, l’arrivo al passo del
monte Atlante. Ma questa è un’altra storia che vi racconterò e ricorderò a me
stesso.
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